Profilo Professionale

La mia foto
Dott. Marco Mura - Pedagogista, Educatore Professionale, Specialista in Pedagogia Clinica --- (Attività Professionali) - Percorsi educativi per minori con: difficoltà d'apprendimento (DSA); disagio sociale e/o relazionale; disabilità (progetti L.162/98; LR 20/97). - Creazione e conduzione di progetti educativi per adulti (L.162/98; LR 20/97) - Consulenza Pedagogica Sostegno alla Genitorialità, Parent Training - Consulenza educativa rivolta a professionisti del settore educativo Per informazioni: dott.marcomura@gmail.com

venerdì 31 agosto 2012

Giochi e giocattoli: giochiamo?

Giochi e giocattoli: giochiamo? © ®

Una famosa casa di produzione ha affidato alla memoria dei compratori uno slogan che ci ricorda che attraverso il gioco si impara. È vero, l'aspetto ludico e quindi divertente facilita l'apprendimento perchè elimina le componenti noiose e difficili da digerire, favorendo una naturale e piacevole acquisizione di nozioni senza che questo atto sia voluto o primario negli obiettivi perseguiti dal giocatore. In tanti libri e seminari si cerca di condurre gli insegnanti a sposare una didattica dinamica, piacevole e accattivante proprio perchè attirando e catalizzando l'attenzione degli scolari si garantisce un più semplice coinvolgimento attivo nelle lezione e un apprendimento meno oneroso per gli allievi. Il gioco o meglio il saper rendere un gioco la lezione diventa arte didattica latrice di successi scolastici. Da pratica caratterizzante l'infanzia a strumento operativo per l'istruzione e l'educazione. La formazione umana sembra essere dunque affidata anche al gioco.
Attualmente vediamo che la tecnologia si è ben radicata in questo campo a tal punto da farci interrogare sul suo effettivo valore per la crescita dei bambini e dei ragazzi.
Attraverso il gioco il bambino impara le prime nozioni su di sè, gli altri e l'ambiente. È un modo per esplorare e sperimentare che incrementa il bagaglio conoscitivo dell'essere umano.
Gioco funzionale, simbolico, di finzione sino ad arrivare alla pura creatività prestata alla sfera ludica con l'ideazione di giochi strutturati (composti da regole) e la costruzione di giocattoli.
Gioco e regole, vita e regole. Le norme non si decidono strada facendo perchè nessuna attività o competizione può essere regolarmente svolta senza che esistano dal principio delle basi stabili che sorreggano il gioco. Nell'odierna società privata di spazi liberi, con tanti pericoli per le strade, dove i videogiochi hanno acquisito un predominio quasi totale, i giochi all'aria aperta, in contesti informali, non gestiti da istruttori o da altre figure adulte sono quasi scomparsi. Computer e console non devono essere messe all'indice. A gestire male questi strumenti siamo noi che non riusciamo a dedicare loro un tempo adeguato e lasciamo che ci assorbano per grandi porzioni della giornata. Difficoltà nel gestire il tempo libero e scarsa competenza nel comprendere il livello di qualità delle attività scelte. La manualità è andata persa, nessuno costruisce i propri giocattoli. Solo nelle scuole e nei centri d'aggregazione giovanile è possibile compiere simili esperienze. Fine motricità e creatività nel cybermondo non trovano alloggio.
Bambini e adolescenti estranei al mondo della costruzione del proprio divertimento (giochi e giocattoli) presentano maggiori difficoltà nel coinvolgere o sentirsi coinvolti dai genitori. Quale richiesta d'aiuto verso un padre o un madre nella raggiungimento di un determinato obiettivo? Il superamento dell'ultimo livello di un videogioco? Forse ora capita anche questo, ma si tratta di un dato che non lascia traccia di sè, al contrario di un manufatto di legno o diverso materiale che consente la condivisione di maggiori energie, la cooperazione e la felicità di aver dato forma alla materia, entrando così nel personale "museo dei giocattoli".
Oltre che nella costruzione anche nei giochi di gruppo è possibile vivere esperienze con i propri genitori, zii e nonni. Una diversa modalità per favorire o incrementare la reciproca conoscenza. Da grandi i bambini ricorderanno queste esperienze e riconosceranno la presenza dei genitori nel bene se mamma e papà non hanno creato eccessive pressioni e nel male se sono stati fonti di ansia.

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com

Brindiamo alla salute e alla vita dei giovani

Brindiamo alla salute e alla vita dei giovani © ®

Il rapporto tra alcol, giovani e giovanissimi rientra tra i comportamenti a rischio nell'adolescenza. Questo periodo della nostra vita è orientato alla scoperta di se stessi, all'evasione dal mondo genitoriale, alla contrapposizione con l'adulto e il suo sistema di regole. Un agire orientato al distacco, alla scoperta e alla sfida.
L'indagine Doxa su "Gli italiani e l'alcol" condotta in collaborazione con l'Osservatorio Permanente sui Giovani e Alcol, analizzando un campione di oltre duemila persone, a partire dai 13 anni, ha messo in evidenza che nel nostro Paese si beve meno e che il 10% della popolazione maschile e il 20% di quella femminile è persino astemia. Emergerebbe dunque un consumo responsabile al quale però si abbina un aumento dei comportamenti a rischio.
Chi opera nell'ambito delle dipendenze o semplicemente a contatto con i ragazzi conosce il fenomeno del Binge Drinking, ossia bere ripetutamente in modo compulsivo fino ad ubriacarsi.
Nel campione preso in esame il 20,4% dei giovani (13-24 anni) intervistati ha ammesso di aver fatto almeno una volta questa esperienza, percentuale che scende sino all'8,6% per i pari di sesso femminile. Da queste rilevazioni possiamo quindi osservare che se da un lato è in diminuzione il numero dei consumatori, dall'altro è in crescita quello degli alcoldipendenti.
Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio Nazionale Alcol dell'Istituto Superiore di Sanità l'abuso giovanile, sostiene la necessità di diffondere delle semplici e fondamentali regole per promuovere un uso consapevole dell'alcol a partire dall'adolescenza, in modo da influenzare positivamente lo stile di vita delle persone lungo il loro percorso di crescita. Costumi comportamentali che trovano validità anche in età adulta. Pertanto non toccare alcolici prima dei 16 anni, bere con moderazione, solo durante i pasti, non guidare dopo aver bevuto.
Altri aspetti del rapporto giovani/alcol emergono dal tessuto sociale britannico. Stiamo parlando del Vodka Eyeballing, nuova frontiera della trasgressione che consiste nel versarsi superalcolici negli occhi, nella stupida convinzione che questa pratica garantisca una rapida sbronza. In realtà l'unico risultato è il danneggiamento dell'apparato visivo.
Questa tecnica al limite viaggia su YouTube, che, nel suo aspetto negativo (ne ha anche di positivi) amplifica e offre un palcoscenico alle bravate dei giovani. La rapidità cercata con questa pratica si lega al desiderio adolescenziale del “tutto e subito”, alla ricerca della trasgressione e del limite nel tentativo di primeggiare nel gruppo e apparire coraggiosi o semplicemente stagliarsi sulla massa. Da non trascurare il desiderio di evadere attraverso lo stordimento, motivo primario, non raggiungibile però attraverso questa prassi. Vodka, rum, persino assenzio direttamente sul bulbo oculare per poi finire al pronto soccorso con bruciori e lesioni alla cornea.
Prima si sentiva parlare dell'Indianata, “gioco” in cui chi sbaglia nel ricordare una sequenza o qualsiasi sia la chiave del “gioco” deve bere. Anche in questo caso si ricorre di norma ai superalcolici e l'obiettivo non è tanto vincere la competizione quanto ubriacarsi e ridere degli errori altrui con la complicità dello stato d'ebrezza.
Alla fine la certezza che emerge dall'abuso di alcol è l'insieme di rischi per il proprio corpo e la propria ed altrui incolumità.
L'alcol è accompagnato da un insieme di conoscenze errate che lo vedono come eccitante: al contrario è un sedativo. “Il vino fa buon sangue” un detto che può trovare alloggio solo nella moderazione. Inoltre è bene sottolineare che a sfatare questo mito ci sono prove scientifiche che mettono in luce come l'alcol sia responsabile di forme di anemia e di un aumento dei grassi nel sangue.
Nella cultura mediterranea il bere ha radici lontanissime. Purtroppo l'eccesso e le modalità dannose nel tempo hanno preso il sopravvento e caratterizzato l'alcol sotto la voce devianza, diventando fenomeno sociale da tenere sotto controllo, da studiare, comprendere e arginare.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità riporta dati allarmanti per il consumo e l'abuso di alcolici in Europa. Il 25% dei decessi giovanili (parliamo di ragazzi tra i 15 e i 29 anni) è collegato direttamente o indirettamente all'alcol. Basti pensare che in Italia un terzo degli incidenti stradali sono imputabili alla guida in stato d'ebrezza e che la metà delle vittime è costituita da giovani.
Credo sia produttivo promuovere progetti educativi legati alla crescita dei giovani, incentrati sulla conoscenza di se stessi, per imparare a capirsi e capire la realtà che ci circonda. Non solo percorsi studiati ad hoc per le problematiche del momento perchè questo equivale a sposare quella cultura pedagogica dell'emergenza che trova alloggio solo nell'imminenza del pericolo o nel disagio ormai riscontrato. Il domani si costruisce oggi, giorno per giorno.
Riflettiamo senza allarmismi e timori, senza proiezioni negative su figli, educandi, alunni ed impariamo dalla realtà e dal rapporto con gli altri a muoverci verso obiettivi edificanti. © ®


Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com

LetteraturAccessibile. Leggere è un diritto di tutti

LetteraturAccessibile © ®

Leggere è un diritto di tutti
Non vedenti e tutti coloro colpiti gravemente alla vista chiedono che venga concesso ad ogni persona il diritto ad approvigionarsi della cultura attraverso la lettura.
Nei Paesi industrializzati solo il 5% delle opere pubblicate è accessibile ai ciechi e a quelli che non possono leggere le normali pubblicazioni su carta stampata, percentuale che nel Sud del nostro pianeta scende a picco raggiungendo l'1%.
La World Blind Union, che rappresenta oltre 160 milioni di ciechi e ipovedenti in 177 Paesi, ha presentato al Parlamento Europeo un documento in cui chiede che vengano modificate le leggi vigenti sulla proprietà intellettuale attraverso delle eccezioni circa la distribuzione non commerciale di libri in formato accessibile (Braille, caratteri ingranditi, mp3, Daisy - un'unione di file audio e testo in versione digitale).
Scansionare libri o trasformarli in formati audio (mp3) implica un lavoro che, oltre ad incontrare errori di trasposizione, richiede lunghi tempi che non consentono ai ciechi e agli ipovedenti di avere i testi con la stessa facilità (tempi e reperibilità) degli altri lettori. A tutto ciò si aggiunge il minore numero di opere disponibili per chi presenta le difficoltà sopra citate. Per risolvere questo problema si potrebbe sfruttare il formato elettronico da cui viene stampato il libro, quello in possesso degli editori, così come è stato chiesto dalla World Blind Union (WBN).
Sino ad ora il documento della WBN ha già ricevuto da Messico, Brasile, Ecuador e Paraguay il consenso ufficiale all'interno dell'organizzazione mondiale che tutela la proprietà intellettuale. Anche l'European Blind Union chiede all'Unione Europea di legiferare in materia in modo che si superino gli ostacoli che minano la libera circolazione della cultura.
Che il diritto alla lettura diventi universale: senza discriminazioni.

Uovonero: una casa editrice per superare le difficoltà del linguaggio
Sante Banderali e Lorenza Pozzi, esperti in comunicazione, insieme alla psicopedagogista Enza Crivelli hanno "deposto" un "Uovonero"... hanno costituito una casa editrice pensata per chi ha bisogno di superare le difficoltà nell'ambito della comunicazione, come quelle generate dall'autismo, dalla dislessia e dai deficit cognitivi. Non c'è un legame diretto con il famoso pulcino Calimero ma la scelta del nome rimanda comunque all'idea della diversità, un mondo che ha dentro di sè delle risorse, con le quali è possibile giungere allo scopo prefissato. Si tratta di strade alternative e non per questo meno valide. Diversità fa rima con creatività: un'alternativa agli schemi tradizionali. La sfida della casa editrice consiste nel rivolgersi a chi soffre di disturbi della comunicazione, per aiutarli a superare gli ostacoli che frenano la loro libera espressione.
A luglio farà la sua comprasa in libreria la fiaba di "Cappuccetto Rosso" tradotta mediante l'utilizzo dei simboli PCS (picture communication symbols): un sistema codificato internazionale di immagini raffiguranti oggetti e verbi, impiegato specialmente con i bambini autistici per facilitare la comunicazione: una soluzione che viene incontro anche ai bambini in età prescolare e quelli provenineti da altri Paesi.
Una missione culturale e sociale finalizzata ad aiutare le persone a superare i disagi connessi alla comunicazione.

Boccaccio, Dante e Omero in mp3
A dar vita a classici come "Il Decameron", la "Divina Commedia", l'"Iliade" e l'"Odissea" è Claudio Carini, attore di prosa, che con la sua voce ha tradotto in formato mp3 grandi opere ora accessibili alle orecchie e al cuore di tutti. Un progetto andato in porto grazie all'intraprendenza dell'attore che, vedendosi negata la possibilità di cooperare con il grupo di Steve Jobs e quindi con l'iTunes, ha scelto di creare degli audiolibri facendo capo alle proprie forze e ad altri canali di divulgazione.
Un connunbio riuscito tra antico e moderno, che rende tecnologica la cultura, liberandola dalla prigionia imposta dalle difficoltà oggettive di alcune persone.
Per acquistare gli audiolibri prodotti da Carini è sufficiente visitare il sito www.recitarleggendo.com

Cagliari: la Biblioteca Comunale potenzia la sezione per disabili
Una ventata di novità positive dalla Biblioteca Comunale di Cagliari, sita in via Newton, attraverso una ricca collezione di audiolibri, di testi con caratteri ingranditi, postazioni multimediali accessibili e un gruppo di volontari per supportare i non vedenti nel servizio internet, grazie anche alla collaborazione della cooperativa sociale "A Prima Vista".
Previa prenotazione, è possibile usufruire delle postazioni con l'affiancamento degli operatori, il martedì dalle 9.00 alle 12.00 e il giovedì dalle 15.00 alle 18.00. Per poter accedere al servizio e usufruire degli audiolibri o per essere supportati nell'utilizzo dei dispositivi portatili è necessario fissare un appuntamento con gli operatori.
La biblioteca offre inoltre il servizio prestito della durata di 30 giorni, prorogabili su richiesta per ulteriori 15 giorni.
Buona lettura a tutti!© ®

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com

Il Progetto Educativo ai sensi della legge 162/98

Il Progetto Educativo ai sensi della legge 162/98  © ®

La legge n° 162/98 promuove interventi in favore di “persone con handicap in situazione di gravità” attraverso progetti di assistenza alla persona e progetti educativi. Con questo articolo proveremo a condurre una riflessione sull'utilizzo di questa opportunità per facilitare le persone nel raggiungimento di una vita indipendente.
Nelle situazioni in cui non è necessario promuovere un percorso educativo, viene stilato e condotto un progetto assistenziale volto a supplire l'autonomia carente del beneficiario della convenzione.
Purtroppo però in diversi casi i familiari o gli stessi aventi diritto richiedono un assistente al posto di un educatore professionale perché, grazie ad una tariffa più bassa, i primi potranno garantire una maggiore presenza nella vita di chi usufruisce della norma in oggetto. Una scelta che però va a discapito della persona quando questa necessita di un intervento volto ad incrementare il livello e la qualità di partecipazione alla vita sociale e alla cura del proprio sé.
Qual è la differenza tra un'assistenza ed un progetto educativo?
L'assistente non mira a sfruttare il potenziale inespresso dell'individuo; al contrario, l'educatore professionale ha come mandato e formazione accademica il dovere di “portare fuori” dalla persona tutte le risorse utili al suo cambiamento positivo e ad un cammino che porterà al raggiungimento della maggiore autonomia a lui possibile. Entrambe le figure professionali, quella dell'assistente e dell'educatore professionale, sono importanti e possono coesistere nel piano di intervento individualizzato, ma è necessario soffermarsi a capire in quali casi sia indicato ricorrere al primo piuttosto che al secondo o vice versa o, ancora, in quale percentuale utilizzare entrambe le professionalità.
Esistono situazioni in cui oggettivamente il destinatario dell'intervento ha bisogno di un operatore che si sostituisca a lui in attività di vario genere: in questo caso entra in gioco l'assistente.
Se, però, il desiderio dell'utente e dei familiari – confermato dalle effettive capacità e risorse individuali - è risvegliare e/o maturare abilità utili al raggiungimento di una maggiore autonomia allora è bene fare ricorso alla figura dell'educatore professionale.
A chi opera nel settore socio-sanitario sarà capitato di vedere progetti in cui viene assegnato un assistente per supplire alle incombenze della cura dello spazio di vita (attività domestiche,
genericamente intese) quando la situazione individuale non lo richiede. Spesso si tratta di scelte che possono far regredire l'individuo che perde “forza” a causa dell'assistenzialismo. Una persona con tendenza alla depressione o con tratti depressivi, se privata di un ruolo attivo, perde l'opportunità di reagire al disagio. Chi potrebbe apprendere abilità utili alla cura della propria persona e viene sollevato da questo importantissimo incarico per pigrizia del familiare o visione approssimativa delle necessità dell'altro (ad esempio, imparare a lavarsi e vestirsi autonomamente), proietta l'individuo verso un futuro di dipendenza, nonostante il possesso di capacità (queste dovranno essere valutate nella realizzazione del progetto educativo) per conquistare l'indipendenza a lui possibile.
L'educatore professionale deve essere laureato in Pedagogia o in Scienze dell'Educazione oppure
aver conseguito il Diploma Universitario di Educatore Professionale (DM 520/98). Invece
psicologi, sociologi o semplici diplomati, anche se in ambito sociale, non possono operare in qualità di educatore professionale.
Quali sono i passi da compiere per attivare un progetto assistenziale o educativo?
Per beneficiare della legge n° 162/98 è necessario il rilascio della certificazione medica ai sensi della legge n° 104/92 (in alcuni casi è sufficiente consegnare all'assistente sociale del proprio Comune la lettera che indica la data in cui è stata fissata la data per la visita medica al fine del rilascio della L. 104/92) che attesti la percentuale di invalidità, in stato di gravità. Ulteriori informazioni possono essere reperite presso il proprio Comune di residenza o la Circoscrizione di riferimento, mediante un appuntamento con un assistente sociale.
In base alle certificazioni mediche, questionari e calcoli sul reddito viene attribuito un punteggio, il quale, dopo l'invio della documentazione alla Regione, viene tradotto in finanziamento sulla base delle esigenze riscontrate.
L'attivazione ha durata annuale e decorre dall'inizio dell'anno solare e termina con la sua fine.
Superiamo gli aspetti tecnici e soffermiamoci sul potenziale insito nella norma.
L'opportunità di crescita che viene offerta con un progetto educativo (L. 162/98) è finalizzata al benessere psicofisico del beneficiario. L'educatore professionale, oltre a dedicare tempo all'intervento individualizzato, deve fornire anche consulenze educative alla famiglia e confrontarsi con tutti i professionisti coinvolti nella vita della persona in modo che ci sia una condivisione del metodo educativo utilizzato e un continuo scambio di informazioni circa l'andamento del processo di crescita.
Quali sono gli obiettivi che vengono perseguiti?
Ogni persona, anche se la diagnosi indica la medesima patologia, è diversa dalle altre. L'essere
umano presenta similarità e differenze individuali: questo ci rende soggetti unici ed irripetibili. Non possiamo parlare di programmi standardizzati o di progetti stilati sulla base di manuali diagnostici o su pregressi percorsi educativi. Per condurre la persona verso itinerari educativi validi è necessario “entrare in relazione” con essa, la famiglia, il tessuto sociale di riferimento e comprendere dove e come direzionare l'azione. Per evitare di costruire obiettivi ideali ma non reali è necessario passare per la conoscenza dell'altro: la persona è la bussola che orienta il cammino di crescita. In questo fondamentale processo sarà necessario anche non alimentare utopie su possibili sviluppi circa le abilità della persona. Spesso i genitori portano avanti richieste non realizzabili a causa di proiezioni che fanno sul proprio figlio, non riconoscendo limiti oggettivi o al contrario non vedendo il potenziale e le capacità presenti gettano la spugna preventivamente. Pertanto è indicato partecipare alle riunioni con i professionisti quando si viene convocati in modo da produrre riflessioni sul percorso educativo ed evitare atteggiamenti che, in un modo o nell'altro, potrebbero frenare la persona nella sua libera espressione.
Le attività condotte da un educatore professionale si concentrano sulle autonomie socio-relazionali, sul territorio, personali (lavarsi e vestirsi; mangiare), educazione al movimento, cura dello spazio di vita, comunicazione (da non intendersi solo come utilizzo della parola), integrazione e tutti gli aspetti che concorrono a migliorare la qualità della vita, l'indipendenza dalla famiglia e dagli operatori. Se una persona è in grado di partecipare anche solo marginalmente ad un'attività è dovere dell'educatore e della famiglia facilitare l'azione dell'educando piuttosto che negargli anche quel piccolissimo contributo utile alla sua crescita.
Educare non significare ammaestrare, ma facilitare l'essere umano a crescere sfruttando le proprie risorse. Scegliere con cura l'operatore - per professionalità e titolo di studio - è un atto dovuto verso chi deve affrontare il proprio cammino di crescita.



Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com

Nonni e nipoti nel mondo dell'educazione

Nonni e nipoti nel mondo dell'educazione© ®
Non solo madre e figlio: superata la diade genitoriale, oggi si parla di triade in cui compare a pieno titolo il padre. Un tempo le famiglie erano declinate su larga scala generazionale grazie alla convivenza o alla vicinanza di nonni e zii. Oggi tempi, spazi e stili di vita hanno allungato le distanze spaziali e talvolta emotive ed educative delle altre figure parentali.
La famiglia allargata ormai va scomparendo. Il nuovo assetto familiare offre spesso pochi spazi di incontro con i nonni talvolta tenuti ai margini della vita dei nipoti. Davanti a scelte di questo tipo bisogna interrogarsi sul messaggio che intendiamo dare ai nostri figli circa il valore dei genitori e degli anziani. Un padre o una madre che denigrano il proprio genitore davanti al figlio in modi più o meno espliciti offrono un esempio – elemento educativo per antonomasia – negativo che gli si potrebbe ritorcere contro. In altri casi osserviamo genitori totalmente deleganti che trattano i nonni come baby sitter senza orario di lavoro e avanzano pretese di natura educativa e assistenziale, chiedendo poi conto di quanto fatto in favore della crescita dei bambini.
Quella del nonno è una figura complementare a quella del genitore nel percorso educativo e si differenzia per mandato. Un padre e una madre hanno il dovere (anche costituzionale) di educare in senso stretto del termine, senza concedere troppi privilegi che potrebbero trasformare il genitore in genitore-amico, figura negativa fatta di insicurezza e di instabilità.
I nonni hanno il compito di educare i nipoti ma non di imporre un sistema normativo e agire al posto dei genitori. Deve sempre esistere una linea d'azione comune in modo da non creare sovrapposizioni e attriti. Ciò che a un genitore non è consentito può esserlo per i nonni, i quali possono permettersi di fare qualche regalo in più, concedere piccoli e innocui vizi invece vietati dai genitori. Quella dei nonni è una linea morbida, distante dalle aspettative, ma vicina ai successi e alle aspirazioni dei nipoti. Un nonno grazie ai nipoti vive una seconda giovinezza, una seconda paternità ma con diverso sapore. Meno oneri, più onori come quello ad esempio di essere tesoriere dei segreti dei nipoti.
Durante l'infanzia i nipoti ricevono cultura orale attraverso i racconti dei nonni, si appassionano alle loro favole, a storie da loro inventate, come accade nelle favole de Il Sentiero dei Melograni (Racconti e Guida pedagogica), in cui la nonna crea sempre una linea di comunicazione con il nipote per aiutarlo a comprendere situazioni difficili. I bambini poi adorano conoscere le storie della loro famiglia, sapere come erano i propri genitori quando erano piccoli: un valido canale conoscitivo che crea maggiore vicinanza con il mondo genitoriale. Grazie a questa figura parentale i bambini esercitano la capacità d'ascolto e l'immaginazione. I nonni rappresentano la saggezza. Sono anziani, non vecchi, hanno dunque un valore per la crescita. Talvolta i nonni possono diventare specchio per i genitori o generare l'occasione per riflettere su errori educativi del passato e così allentare tensioni ormai datate.
La frequentazione dei nonni, data l'età degli ultimi, avvicina alle dimensioni della disabilità e della morte, evento destinale che la nostra società tende sempre di più a tenere ai margini del presente. Queste sono tutte occasioni in cui un nipote impara a misurarsi con se stesso e gli altri. Ovviamente le esperienze vanno di pari passo con l'età. Un bambino piccolo potrebbe essere traumatizzato da un quadro clinico molto grave in cui regna la sofferenza.
I nonni sono un simbolo storico della famiglia: rappresentano le radici.
Per un nipote anche i nonni devono rappresentare un punto di riferimento. È superfluo evidenziare che nel caso di persone di dubbie qualità morali o di scarsa predisposizione al rapporto con i bambini, l'esposizione di quest'ultimi a soggetti di tale calibro non è positiva ma dannosa.
Di vitale importanza è il mantenimento dei ruoli. Una nonna non deve diventare la mamma e una madre non deve pretendere o desiderare che altri ricoprano il suo ruolo.
Nelle giovanissime mamme che a quindici o sedici anni danno alla luce un figlio troviamo spesso nonni che riguadagnano il ruolo genitoriale in favore del nipote. Non solo storie frutto di fantasia ma anche reali raccontano di madri che fingono per anni di essere le sorelle maggiori e di nonni che incarnano il ruolo di genitori, perchè mossi dalla vergogna di una precoce gravidanza. Senza giungere ad aspetti, per così dire, teatrali della vita famigliare assistiamo a giovanissimi genitori che passano il testimone ai nonni in modo che siano loro a dare un'educazione ai propri figli-nipoti.
Essere nonni ogni giorno, essere genitori ogni giorno così da offrire agli adulti di domani un variegato panorama sociale: ecco cosa significa educazione intergenerazionale.© ®

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com
 

Il facilitatore nei gruppi

Il facilitatore nei gruppi © ®
Facilitare significa rendere più agevole il percorso che ci condurrà alla nostra meta.
La figura del facilitatore trova alloggio nella pedagogia che da sempre accompagna le persone nel proprio cammino, facilitando i soggetti nel perseguimento degli obiettivi di crescita.
Il facilitatore opera all'interno dei gruppi e si colloca in una posizione di super partes con il compito di rendere più fluido, sereno e costruttivo lo scambio dialettico tra i partecipanti. Troviamo questa figura, oltre che nel campo educativo, anche in quello manageriale. Sappiamo quanto sia difficile gestire la comunicazione nei casi in cui gli interlocutori costituiscano un gruppo ampio. Ognuno desidera parlare. Alcuni si impongono sugli altri facendo ricorso ad un elevato volume della voce, con l'aggressività verbale o monopolizzando il tempo a disposizione; altri restano in disparte. C'è chi poi è costantemente orientato al giudizio e chi chiude ogni spiraglio all'opinione altrui.
Il facilitatore deve essere latore di benessere emotivo all'interno del gruppo strutturato, garantendo un clima democratico e stabilendo insieme ai componenti un codice normativo che tuteli i singoli e la collettività. Agevolare lo scambio tra le parti significa creare coesione e rispetto tra i singoli.
Qui l'attenzione sarà incentrata sui compiti che questa figura profesisonale ha nell'ambio socio-educativo.
Tanti conoscono i gruppi di auto-mutuo aiuto destinati alle persone con problemi di dipendenza, come ad esempio i C.A.T, vale a dire i club di aiuto per per alcolisti.
I gruppi di auto mutuo aiuto variano per tema accomunante. La forza aggregante e il minimo comune denominatore è la ragione che spinge le persone a reagire positivamente alle difficoltà che stanno vivendo. Un percorso che parte dal vivere il disagio e prosegue con l'affrontarlo in un ambiente protetto. Lottare con il gruppo, ecco la forza di questa opportunità di crescita. Un cambiamento possibile solo se si è motivati e se vengono rispettati i diritti di tutti i partecipanti.
A differenza di quanto si possa pensare, all'interno dei gruppi di auto mutuo aiuto, ad esempio destinati a persone con dipendenza dalla droga (o qualsiasi altra forma di dipendenza, come l'alcol, il sesso, il gioco d'azzardo) non regna la monotonia tematica. Il disagio colpisce la persona nel suo insieme andando ad intaccare il suo mondo. Non troviamo dialoghi fatti solo di sofferenza. Durante gli incontri i temi sono vari perchè varie sono le esperienze individuali. Compito del facilitatore è proprio quello di giudare le persone nel viaggio esperienziale condiviso. Il primo compito, quello che getta le basi, consiste nel costituire un impianto normativo che salvaguardi la salute del gruppo. All'interno delle riunioni – tra le varie regole - non è consentito dare giudizi, monopolizzare il discorso, obbligare un compagno a parlare e altre norme che il gruppo dall'inizio e strada facendo riterrà utile inserire nel codice di condotta.
Le tecniche di facilitazione spaziano dall'impiego di frasi utili ad incentivare lo scambio paritario, a gesti, silenzi, comunicazione non verbale e tanti altri strumenti per rendere più semplice l'atto comunicativo.
Esistono gruppi di auto mutuo aiuto anche per i familiari di coloro che vivono a contatto con persone, ad esempio, affette da patologie o cadute nella rete della dipendenza. Anche in questi casi l'aggregante è il terreno comune e a catalizzare le parti che compongono il gruppo deve essere l'azione del facilitatore. Anche questo professionista deve rispettare le norme del gruppo: tutti si muovono sopra un piano orizzontale, nessuna gerarchia. Il facilitatore non si colloca nel gruppo come operatore che deve fornire risposte e soluzioni; la sua voce ha il suono di quella degli altri membri, ma non è chiamato a raccontare i suoi vissuti in quanto riveste pur sempre un ruolo professionale.
Col tempo anche qualche persona interna al gruppo può diventare facilitatore. Tavolta capita che un gruppo ben compatto possa trovare al suo interno più persone che nel tempo si alternano nel ricoprire questo compito. È necessario però essere formati per rivestire questo ruolo in modo da garantire a se stessi e agli altri di operare secondo metodi che rispettino la natura del gruppo.
Il circle time invece è destinato sempre al gruppo ma avebnte finalità come quelle della gestione delle emozioni: insomma un diverso modo di chiamare il lavoro dell'auto mutuo aiuto e del gruppo strutturato.
Il facilitatore lavora anche nei gruppi di discussioni. In questa realtà gruppale non troviamo un disagio specifico come base di partenza, bensì un tema di interesse comune. Bambini, adolescenti, adulti, coppie sono guidati nel creare riflessioni su argomenti utili per la crescita individuale e collettiva. Anche in questo caso il professionista non appare in veste di relatore o di detentore del sapere, ma conserva il compito di far scorrere la comunicazione evitando l'innescarsi di improduttive dinamiche e mettendo l'accento su situazioni e parole che contribuiscono positivamente alla crescita dei singoli e del gruppo.
Esistono varie declinazioni dell'azione faciltante nei piccoli, medi e grandi gruppi. Un altro esempio utile è quello che vede questa proposta all'interno del circuito didattico sottoforma di cooperative learnig, l'apprendimento cooperativo in cui gli studenti imparano a pianificare e gestire tempo e risorse didattiche collaborando per ottenere il medesimo risultato.
Possiamo concludere sostenedo che l'azione del facilitatore corrobora la tesi contenuta nel motto "l'unione fa la forza". © ®
Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com


lunedì 20 agosto 2012

Pensiamo ai piccoli per ricordare i grandi diritti

Pensiamo ai piccoli per ricordare i grandi diritti © ®
Attendere la “Giornata nazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza” per ricordare l'impegno che deve essere garantito ai minori per un futuro migliore, rischia di regalare un presente mediocre a tutti i bambini che non sono tutelati come suggerisce la legge, la pedagogia, la psicologia, la medicina. Ogni anno e per tutte le iniziative si ricorda l'importanza della lotta contro patologie che causano la morte o conducono a stati di disabilità, oppure orientati a valori come la famiglia, l'infanzia, si manifesta contro la violenza sulle donne, ma si dimentica che le date dedicate a questi fondamentali temi non dovrebbero esaurirsi nelle parole dei politici, dei relatori e nelle azioni dei partecipanti agli eventi ma scalfire quotidianamente quella corazza di cui tanti si coprono per proteggersi da argomenti scomodi e impegnativi. Ogni volta che si indice una manifestazione si dovrebbe celebrare il lutto delle mancate risposte positive da parte non solo dei governi ma anche dei singoli individui che non mutano il proprio comportamento e non sensibilizzano chi hanno accanto. I risultati esistono e sono dimostrabili ma l'uomo comune dovrebbe essere maggiormente partecipe in modo da ridurre il divario che separa chi soffre dall'obiettivo desiderato. L'essere umano pecca spesso nella salvaguardia dei diritti dei minori, limitando le risorse disponibili, atte a garantire una crescita armonica dei fanciulli. Rapporto genitori-figli, cultura, sport, ambiente, lavoro, in senso ampio la società dovrebbero infondere sicurezza e garantire un futuro di libertà. L'investimento più grande sono proprio i figli, tutti i bambini del mondo. Quanto gli adulti potrebbero imparare dai bambini. Pensiamo alle loro capacità empatiche, alla loro genuinità, al desiderio di scoperta che li accompagna.
I diritti non si esauriscono dentro se stessi ma vivono all'interno dei doveri. Ma come possiamo chiedere il rispetto di un impegno se non vengono garantiti i presupposti primari? L'uomo, l'adulto, spesso è egoista e se la prende con i più piccoli.
Ancora una volta si commette l'errore di pensare in piccolo e concentrare l'azione sul singolo o sulla categoria. Il singolo non è mai tale se inserito all'interno della società; le categorie servono solo ad azioni specifiche che non possono soddisfare pienamente il risultato atteso perché omettono altre peculiarità fondamentali, non rientranti specificamente in quel determinato ambito. I bambini e gli adolescenti sono un singolo, una coppia (fratelli, sorelle, cugini), un gruppo (famiglia, fratelli, classe, squadra di calcio, cerchia di amici), una parte comune all'esistenza degli adulti (come precedente tappa evolutiva e/o come prole o diversi legami di parentela). Considerato questo aspetto, l'azione verso il singolo fanciullo o diretta alla categoria dei minori si dimostra azione parziale inficiata da una visione miope del tessuto sociale.
Pensare alla famiglia equivale a riflettere sulla genitorialità, sull'essere figlio, fratello ma non solo. Conduce il pensiero verso il mondo dell'istruzione, gli spazi comuni in poter crescere, i contributi alla ricerca in campo educativo e medico.
Non saper cogliere le risorse dei giovani è il più grande errore che una società possa commettere.
Quali bende hanno coperto gli occhi della società davanti a forti disagi che esplodono in comportamenti devastanti? La celebrazione della giornata nazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza può forse cancellare ciò che accadde il 20 aprile 1999 negli Stati Uniti nella Columbine High School? E chissà che fine hanno fatto i diritti di tutti quei bambini che non hanno accesso all'istruzione e vengono dilaniati dai morsi della fame o da mine antiuomo, per non parlare poi del mercato della pedopornografia e della prostituzione minorile. Il disagio non ha nazionalità e se non affrontato rischia di diventare senza tempo.
Dove volge lo sguardo la società quando vengono negati i diritti allo studio e al lavoro? Quali diritti garantisce un mondo dove vengono tagliate le ore di sostegno scolastico o ai progetti educativi destinati a bambini e adolescenti in stato di difficoltà? Quale onore per la giovinezza depauperata dalla precarietà? Quali sono le famiglie possibili senza stabilità economica?
I diritti dell'infanzia e dell'adolescenza passano attraverso il rispetto per l'essere umano, senza stigmatizzazioni, costruendo sin dai primi anni percorsi che elimino la violenza di genere, il razzismo, proponendo l'onestà come linfa vitale.
Dobbiamo ripensare l'infanzia e l'adolescenza in un'ottica presente e futura per evitare un'onerosa eredità per gli adulti di domani.
Maria Montessori ci ricorda che "Se v'è per l'umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l'uomo".
Largo ai giovani, alle loro capacità creative e rigeneratrici, al loro entusiasmo, ai loro diritti. © ®

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com

lunedì 13 agosto 2012

L'educatore professionale: un delicato ed importante supporto per la crescita


L'educatore professionale: un delicato ed importante supporto per la crescita
Il professionista dell'educazione, insieme al pedagogista, è l'educatore professionale. Per ricoprire il ruolo di Educatore professionale è necessario possedere la lauerea in Pedagogia o in Scienze dell'educazione (o i corsi di laurea derivati da quest'ultima), oppure aver conseguito il Diploma Universitario di Educatore Professionale previsto dal DM 520/98. L'educatore professionale, così come il pedagogista, non è uno psicologo e viceversa; non svolge attività assistenziali, ma promuove cambiamenti positivi attraverso percorsi che fanno capo al potenziale dell'essere umano. Allo steso tempo, pur lavorando all'interno delle scuole, non è un insegnante (nel caso del lavoro sul gruppo) o un insegnante di sostegno (quando si parla di educativa specialistica scolastica nei percorsi individualizzati). Il suo ruolo all'interno del sistema dell'istruzione è un altro: egli si occupa di far emergere le risorse delle persone e di guidarle nel percorso di crescita. Egli si pone come "facilitatore" nei processi di cambiamento con delicatezza (atteggiamento non invasivo) mediante una presenza che conferisce all'altro un ruolo da protagonista nel proprio progetto di vita.
Il termine "educazione" deriva dal latino "e-ducere": "condurre fuori" ciò che l'essere umano possiede in termini di potenziale o di disagio vissuto. L'arte maieutica, quella socratica, che aiuta la persona a "partorire" ciò che in lui si cela, libera le energie della persona, la quale con le proprie capacità e l'affiancamento del professionista riesce ad incanalarle verso obiettivi positivi. L'educazione non riguarda la semplice buona creanza, l'istruzione che mira a far apprendere norme del galateo, ma implica un aspetto formativo (l'azione che dà forma) che conduca la persona a stare bene con se stessa, nel mondo, con chi la circonda. Educare non equivale ad insegnare alle persone come devono vivere, plasmandole secondo il nostro porgetto. Tale pratica non è rispettosa dell'alterità e coincide con l'ammaestramento: la negazione del valore dell'altro.
A beneficiare degli interventi erogati da questo professionista non sono solo coloro che presentano un disagio di tipo fisico, psichico, sensoriale o sociale, bensì tutte le persone che necessitano di un supporto per la propria crescita. Pensiamo ai centri d'aggregazione giovanile, alle scuole, ai centri residenziali per anziani (l'elenco è lungo) in cui troviamo tante persone che non vivono nessun tipo di difficoltà specifica. Si tratta di percorsi volti ad affiancare le persone nel cammino che hanno intrapreso; un modo per mettersi in gioco, per scoprire altri lati di se stessi, per produrre cambiamenti positivi e quindi continuare a crescere.
Questo profesionista opera in favore del singolo e del gruppo, con il supporto delle scienze dell'educazione (pedagogia, psicologia, sociologia) in contesti formali come la scuola o i centri d'aggregazione o di riabilitazione, oppure in quelli informali come il domicilio e persino la strada (professionisti impegnati a contrastare il disagio giovanile, la tossicodipendenza). Le attività che un educatore professionale può svolgere a casa di una persona sono varie e tutte connesse alla crescita (cambiamento positivo) dell'altro. Non vengono portati avanti interventi assistenziali in quanto si entrerebbe nel campo di chi pratica un diverso mestiere (assistenti di base, operatori soscio-sanitari). Inoltre – dato di grande rilievo – promuovere un approccio umanitario in favore di chi possiede abilità per poter procedere verso il livello di indipendenza a lui possibile, limiterebbe la persona nelle sue capacità (potenziale inespresso). Pertanto è necessario valutare sempre con perizia gli stati di necessità per poter progettare l'intervento ideale. L'educatore professionale, così come il pedagogista, attraverso i suoi interventi attua un processo di umanizzazione nei casi in cui l'altro viene visto come soggetto non capace perchè vittima di etichette che non gli riconoscono il ruolo di persona.
I progetti educativi sono tanti quanti sono gli educandi. Si rivolgono ai Disturbi Specifici dell'Apprendiemnto (DSA), alla Disabilità (fisica, psichia e sensoriale), alla Devianza Minorile, Percorsi Specialistici Scolastici, Dipendenza da sostanze, Disagio Socio-relazionale. Come scritto in precedenza anche chi non vive un particolare disagio può cogliere l'occasione per mettersi in gioco e continuare a crescere attraverso percorsi educativi che stimolino l'educando a intraprednere nuovi percorsi conoscitivi.
Dall'infanzia, all'età adulta sino a giungere alla terza età: un vasto panorma, una ricca opportunità di crescita. © ®
Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail dott.marcomura@gmail.com


martedì 7 agosto 2012

Adozioni incolore: scegliamo con il cuore



Adozioni incolore: scegliamo con il cuore © ®
Desiderare con tutte le forze un figlio, qualcuno da amare incondizionatamente, sentirlo parte di noi anche se non ci appartiene (non si può possedere una persona: non sarebbe amore). Le coppie che non possono avere figli possono ricorrere all'adozione. Riflettendo sul senso di maternità e di paternità incontriamo anche il discorso incentrato sul bambino ideale, quello che vorremmo rispecchiasse i nostri sogni. Il progetto-figlio: fisicamente perfetto, intelligente, brillante, con una carriera invidiabile. Quando si tratta della prole, siamo spesso portati a progettare sull'altro, a costruire un'immagine idealizzata di un essere vivente che vorremmo corrispondesse al nostro disegno. Se determinati parametri non dovessero rispecchiare il desiderio genitoriale, quale dovrebbe essere la soluzione? Spedire indietro al mittente il bambino? Questo discorso apre il dibattito nato in merito alla richiesta di adozione internazionale che vedeva discriminati bambini e bambine con un colore delle pelle e per aspetti legati alla salute psicofisica del piccolo.
Il figlio che vogliamo abbracciare, di cui ci prenderemo cura, che desideriamo coroni i suoi sogni, deve necessariamente essere bello, con determinati tratti somatici, simpatico, intelligente? E' questa la conditio sine qua non che genera l'amore in un padre e in una madre? Deve obbligatoriamente rimandare con il suo aspetto ad un possibile collegamente genetico con i propri genitori? La paura di adottare un bimbo con caratteristiche fisiche palesemente diverse dalle nostre è forse legata all'impossibilità di nascondere l'assenza di un legame biologico con la famiglia accogliente?
L'interrogazione su questo delicato tema è quanto mai d'obbligo soprattutto dopo che l’AiBi (Amici dei Bambini) ha recentemente contestato il riconoscimento dell’idoneità all’adozione internazionale ad una coppia italiana che aveva chiaramente espresso la non disponibilità ad accogliere bambini di pelle scura o diversa da quella tipica europea o con ritardo evolutivo. Purtroppo questa coppia ha avuto il benestare dal Tribunale dei minorenni di Catania, venendo meno al rispetto dei bambini che si trovano al di fuori di una famiglia e calpestando gli alti volori della nostra Costituzione, negando il principio di uguaglianza e, allo stesso tempo, l'autenticità dell'amore che guida chi desidera con tutto se stesso un bambino da amare infinitamente. Fortunatamente ad evitare – almeno in parte – il ripetersi di simili situazioni giuridiche, culturali e sociali, ci ha pensato la Suprema Corte, con la sentenza 13332 delle sezioni unite civili, stabilendo che «il decreto di idoneità all'adozione pronunciato dal Tribunale per i minorenni non può essere emesso sulla base di riferimenti alla etnia dei minori adottandi, nè può contenere indicazioni relative a tale etnia». «Ove tali discriminazioni siano espresse dalla coppia di richiedenti, esse vanno apprezzate dal giudice di merito nel quadro della valutazione della idoneità degli stessi alla adozione internazionale». Una decisione destinata a fare giurisprudenza. L'idoneità all'adozione deve essere totale e non pariziale, limitata da pregiudizi. Purtroppo l'ostacolo per l'etnia è ancora agirabile, in quanto una coppia potrebbe dichiararsi disponibile ad accogliere un bambino senza avanzare pretese etniche, ma una volta ottenuta l’idoneità potrebbe rivolgersi a qualche ente autorizzato, ad esempio nell’Est europeo, per evitare "un'adozione di diverso colore". Dal punto di vista legislativo, il passo successivo dovrebbe quindi impedire alle coppie l'opzione di scelta in merito all'etnia del figlio da adottare.
E per quanto riguarda il ritardo evolutivo? Si potrebbe obiettare sostenendo che alcuni ricorrono all'aborto terapeutico, si affidano agli iter diagnostici per scoprire la percentuale di possibilità, ad esempio, nel metter al mondo un figlio con trisomia 21 (sindrome di down) e che conseguentemente la non disponbilità della coppia catanese per l'adozione di un bambino con ritardo evolutivo sia lecita quanto il desiderio di interruzione volontaria della gravidanza da parte dei genitori biologici. Ma come porci davanti ad interrogativi che fanno capo a malattie che possono generarsi nel corso della vita come quelle che rientrano nell'ambito del disagio psichico (pensiamo alla schizofrenia, al disturbo bipolare, alla depressione maggiore)? E cosa dire del disagio sociale, con annesse forme di devianza e di dipendenza? La coppia che ha sollevato l'indignazione nell'AiBi ha posto delle condizioni che negano il loro amore a persone che presentano una pigmentazione non riconducibile a quella tipicamente europea ed uno stato di salute psicofisico compromesso. L'ignoranza di queste persone reca con sè un problema di non poco conto. Sappiamo, ad esempio, che l'autismo può essere diagnosticato solo nei primi anni di vita, dopo che dall'osservazione, in partcolar modo nella relazione con l'altro, iniziano a potersi desumenre segnali che possono essere ricondotti allo spettro autistico. Dal momento che questa coppia si è detta disponibile ad accogliere bambini di ambo i sessi in una fasca d'età che va dai zero a cinque anni, viene spontaneo domandarsi quali conseguenze potrebbe generare la scoperta - dopo magari un anno - che il poprio figlio presenta una forma di autismo. Citerebbero per danni chi ha dato loro il figlio in adozione? Rimanderebbero al mittente il bambino? Oppure continuerebbero ad amarlo?
Quando si adotta un bambino con la carnagione marcatamente differente dalla propria i rischi d'essere indicati come genitori adottivi e non biologici è enorme. Forse la coppia catanese presenta una pelle olivastra, il colore degli occhi e dei capelli tipicamente mediterranei che assolutamente non rispecchia – facciamo un'ipotesi - la figlia adottata perchè bionda, con una pelle bianchissima, con occhi celesti e con una fisionomia che di sicuro non indica alcun legame biologico con mamma e papà! In questo caso nessuna indecisione, nessuna richiesta (?). Non è stato chiesto di avere un figlio con carateristiche somatiche riconducibili a quelle dei genitori, per ingannare l'occhio, ma semplicemente un bambino che non avesse la pelle diversa da quella tipicamente europea.
Chissà se queste persone potrebbero mai accettare di buon grado una ragazza coreana come fidanzata del proprio figlio o un nipotino con deficit cognitivo.
Cerchiamo una diversa motivazione che ci conduca ai parametri indicati dalla coppia. Siamo davanti ad una forma di tutela del figlio adottivo? Forse si tratta di un tentativo di protezione, in quanto la nostra società ancora non pare pronta ad accogliere persone diverse (e dire che siamo tutti diversi gli uni dagli altri! Ma forse alcuni non hanno ancora capito questo concetto fondamentale), per via del colore della pelle o dello stato di salute psicofisico. E' forse la paura di un mondo condito con una buona dose di discriminazione ad aver portato la coppia siciliana a non rendersi disposta ad accogliere bambini con ritardo evolutivo o con dei "particolari" colori della pelle? Prendiamo una piccola pausa, riflettiamo e spostiamo la nostra attenzione verso il 23 maggio 2010, data in cui, a Roma, si è celebrata la Prima Giornata Nazionale del Figlio, un'occasione per ricordare l'importanza che i figli ricoprono nella vita dei genitori, il valore che hanno come persone, esprimere solidarietà verso tutti i bambini senza famiglia e così ribadire il diritto universale di essere figli.
Non siamo qui per giudicare ma per riflettere insieme su scelte e percorsi di vita: questa è la strada migliore per capire il proprio percorso di uomo, di donna e, in particolar modo, di genitore.
La Cassazione ha chiaramente detto: «non è possibile esprimere preferenze per determinate caratteristiche genetiche». Rispetto e pari opportunità a tutte le persone.
Davanti alla scelta d'avere un figlio non si può di certo ricorrere a citazioni come de gustibus non est disputandum (non si possono giudicare i gusti) perchè stiamo parlando di esseri umani – i bambini - e di idee che entrano in contrasto con il desiderio autentico d'essere genitori.
Quando si parla di figli, scegliamo con il cuore. © ®

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail dott.marcomura@gmail.com

LetteraturAccessibile. Leggere è un diritto di tutti



LetteraturAccessibile © ®

Leggere è un diritto di tutti
Non vedenti e tutti coloro colpiti gravemente alla vista chiedono che venga concesso ad ogni persona il diritto ad approvigionarsi della cultura attraverso la lettura.
Nei Paesi industrializzati solo il 5% delle opere pubblicate è accessibile ai ciechi e a quelli che non possono leggere le normali pubblicazioni su carta stampata, percentuale che nel Sud del nostro pianeta scende a picco raggiungendo l'1%.
La World Blind Union, che rappresenta oltre 160 milioni di ciechi e ipovedenti in 177 Paesi, ha presentato al Parlamento Europeo un documento in cui chiede che vengano modificate le leggi vigenti sulla proprietà intellettuale attraverso delle eccezioni circa la distribuzione non commerciale di libri in formato accessibile (Braille, caratteri ingranditi, mp3, Daisy - un'unione di file audio e testo in versione digitale).
Scansionare libri o trasformarli in formati audio (mp3) implica un lavoro che, oltre ad incontrare errori di trasposizione, richiede lunghi tempi che non consentono ai ciechi e agli ipovedenti di avere i testi con la stessa facilità (tempi e reperibilità) degli altri lettori. A tutto ciò si aggiunge il minore numero di opere disponibili per chi presenta le difficoltà sopra citate. Per risolvere questo problema si potrebbe sfruttare il formato elettronico da cui viene stampato il libro, quello in possesso degli editori, così come è stato chiesto dalla World Blind Union (WBN).
Sino ad ora il documento della WBN ha già ricevuto da Messico, Brasile, Ecuador e Paraguay il consenso ufficiale all'interno dell'organizzazione mondiale che tutela la proprietà intellettuale. Anche l'European Blind Union chiede all'Unione Europea di legiferare in materia in modo che si superino gli ostacoli che minano la libera circolazione della cultura.
Che il diritto alla lettura diventi universale: senza discriminazioni.

Uovonero: una casa editrice per superare le difficoltà del linguaggio
Sante Banderali e Lorenza Pozzi, esperti in comunicazione, insieme alla psicopedagogista Enza Crivelli hanno "deposto" un "Uovonero"... hanno costituito una casa editrice pensata per chi ha bisogno di superare le difficoltà nell'ambito della comunicazione, come quelle generate dall'autismo, dalla dislessia e dai deficit cognitivi. Non c'è un legame diretto con il famoso pulcino Calimero ma la scelta del nome rimanda comunque all'idea della diversità, un mondo che ha dentro di sè delle risorse, con le quali è possibile giungere allo scopo prefissato. Si tratta di strade alternative e non per questo meno valide. Diversità fa rima con creatività: un'alternativa agli schemi tradizionali. La sfida della casa editrice consiste nel rivolgersi a chi soffre di disturbi della comunicazione, per aiutarli a superare gli ostacoli che frenano la loro libera espressione.
A luglio farà la sua comprasa in libreria la fiaba di "Cappuccetto Rosso" tradotta mediante l'utilizzo dei simboli PCS (picture communication symbols): un sistema codificato internazionale di immagini raffiguranti oggetti e verbi, impiegato specialmente con i bambini autistici per facilitare la comunicazione: una soluzione che viene incontro anche ai bambini in età prescolare e quelli provenineti da altri Paesi.
Una missione culturale e sociale finalizzata ad aiutare le persone a superare i disagi connessi alla comunicazione.

Boccaccio, Dante e Omero in mp3
A dar vita a classici come "Il Decameron", la "Divina Commedia", l'"Iliade" e l'"Odissea" è Claudio Carini, attore di prosa, che con la sua voce ha tradotto in formato mp3 grandi opere ora accessibili alle orecchie e al cuore di tutti. Un progetto andato in porto grazie all'intraprendenza dell'attore che, vedendosi negata la possibilità di cooperare con il grupo di Steve Jobs e quindi con l'iTunes, ha scelto di creare degli audiolibri facendo capo alle proprie forze e ad altri canali di divulgazione.
Un connunbio riuscito tra antico e moderno, che rende tecnologica la cultura, liberandola dalla prigionia imposta dalle difficoltà oggettive di alcune persone.
Per acquistare gli audiolibri prodotti da Carini è sufficiente visitare il sito www.recitarleggendo.com
© ®
Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail dott.marcomura@gmail.com

Educazione e Salute Mentale

Educazione e Salute Mentale ©

Il concetto di salute mentale produce riflessioni profonde sulla complessità dell'essere umano. Terreno sconfinato, centro operativo, elemento distintivo per la sua evoluzione, il cervello rappresenta la sfida più impegnativa. Un organo che regala soddisfazioni e crea malumori. È sufficiente pensare all'appagamento che si prova davanti a un successo intellettivo e alle emozioni negative esperite davanti a compiti difficili a cui non troviamo soluzione. Non essere brillanti in certi campi del sapere può essere facilmente assimilato come dato di fatto, ma quando la propria vita viene messa a dura prova da allucinazioni, fobie, stati depressivi profondi, condotte pericolose difficilmente controllabili, allora subentra una delle più grandi imprese che l'uomo deve compiere. Il riferimento d'obbligo è quello verso gli specialisti (educatori professionali, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, assistenti sociali), la persona colpita dalla patologia e la propria famiglia.
Certe volte si cercano le cause della patologia psichiatrica nello stile di vita della persona o si fanno circolare voci circa l'uso di sostanze psicotrope che hanno lasciato un segno indelebile nella persona (“Quel ragazzo ha preso un allucinogeno in discoteca e da allora si è ammalato!”). In certi casi questa ipotesi risulta vera – con le dovute precauzioni - perchè l'uso di droghe può fare emergere una patologia latente.
Nel lavoro con le famiglie può capitare che qualcuno muova accuse verso il soggetto con disagio psichico alludendo a stili di vita o a mancanze verso determinati doveri i quali hanno causato l'insorgere della malattia.
In Italia, con la chiusura dei manicomi ad opera della Legge Basaglia (Legge n° 180 del 1978) sono nati i Centri di Igiene Mentale (CIM), mutati poi in Centri di Salute Mentale (CSM), sempre gestiti dalle ASL. Oltre al servizio pubblico esistono strutture private convenzionate che offrono centri diurni e residenziali, case famiglia, gruppi appartamento e progetti di vario genere. Troviamo inoltre educatori professionali che, in regime di libera professione, operano in favore della promozione della salute psicofisica delle persone mediante fondi pubblici come quelli garantiti dalla Legge n° 162/98 o attraverso convenzioni private (contributo della famiglia).
Nei telegiornali o sui quotidiani incontriamo acronimi come TSO e OPG. Il trattamento sanitario obbligatorio (che ha sostituito il ricovero coatto) è una procedura medico-giuridica che obbliga una persona a cure o ricoveri per tutelare la propria e – in certi casi – altrui incolumità.
Invece l'OPG (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) – ex manicomio criminale - è un luogo di detenzione che accoglie sofferenti psichici che hanno commesso reati in violazione al codice penale. Questi sono gli aspetti che più rientrano nelle conoscenze base dei non addetti ai lavori e che quindi vanno a contaminare una visione corretta e ampia delle persone con disagio psichico.

I progetti educativi nell'ambito della salute mentale variano non in base alla patologia, ma, come per tutti i percorsi di crescita, in relazione alle difficoltà e ai punti di forza del soggetto.
Su una base generica possiamo elencare alcune tipologie di intervento che vedono impegnato l'educando a guadagnare nuovamente la capacità di gestire il proprio spazio di vita, il denaro, la cura del proprio sé, le competenze socio-relazionali, le emozioni, l'orientamento nelle scelte per il futuro; oltre a un lavoro sulla comprensione della patologia, del valore della terapia farmacologica, psichiatrica, di quella educativa e psicoterapica. Strade e modalità sono varie perchè l'umanità non possiede cloni ma esseri unici ed irripetibili.
Chi opera nel settore della salute mentale vive a contatto con la sofferenza. Una sofferenza particolare perchè chi è colpito da patologie come, ad esempio la schizofrenia, soffre doppiamente: da un lato per il male vissuto e dall'altro perchè comprende la situazione in cui versa. È necessario infatti fare in modo che l'individuo non cada in stati depressivi e che mantenga un ruolo attivo nel progetto riabilitativo e nel quotidiano al fine di evitare involuzioni o il cristallizzarsi della situazione. Ansia, fobie, allucinazioni, gli stati umorali devono essere affrontati e compresi in quanto cercano sempre di dominare la persona. Gesti e azioni semplici con il loro predominio possono risultare imprese titaniche e far così aumentare il disagio e depauperare inoltre l'autostima della persona sino ad indurla a ritenersi incapace di reagire.
Chiudo questo intervento senza polemiche circa gli esigui contributi offerti ai percorsi riabilitativi tra cui quelli destinati alla Legge n° 162/98 ed invitandovi a leggere “Benvenuti in psichiatria. Storie e incontri di straordinaria follia” di Giovanni Casula, educatore professionale, che vi farà affrontare un viaggio - senza tecnicismi - all'interno del Servizio di Psichiatria (SPDC). Nessuna fredda teoria: solo uno sguardo umano in prestito a chi vuole conoscere e capire l'essere umano. ©

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail dott.marcomura@gmail.com