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Dott. Marco Mura - Pedagogista, Educatore Professionale, Specialista in Pedagogia Clinica --- (Attività Professionali) - Percorsi educativi per minori con: difficoltà d'apprendimento (DSA); disagio sociale e/o relazionale; disabilità (progetti L.162/98; LR 20/97). - Creazione e conduzione di progetti educativi per adulti (L.162/98; LR 20/97) - Consulenza Pedagogica Sostegno alla Genitorialità, Parent Training - Consulenza educativa rivolta a professionisti del settore educativo Per informazioni: dott.marcomura@gmail.com

sabato 5 aprile 2014

Domande e Risposte sui Progetti Educativi

Domande e Risposte sui Progetti Educativi

Chi può lavorare come pedagogista?
Solo i laureati in Pedagogia e in Scienze dell'Educazione (laurea magistrale V.O. o laurea specialistica se abilitante) possono operare nel settore pubblico e privato in qualità di Pedagogista. Per un approfondimento si rimanda alla lettura di "Chi è il Pedagogista?", intervista de Il Sentiero dei Melograni.

Chi può lavorare come Educatore Professionale?
Sono Educatori Professionali coloro che hanno conseguito la laurea in Pedagogia, Scienze dell'Educazione (e successivi ordinamenti), nonchè chi ha acquisito il titolo attraverso il Diploma Universitario di Educatore Professionale previsto dal DM 520/98. Per un approfondimento si rimanda alla lettura dell'articolo "L'Educatore Professionale: un delicato e importante supporto per la crescita".

Chi è il Pedagogista Clinico?
La pedagogia clinica è una nuova scienza indirizzata al vasto panorama dei bisogni educativi della persona. E' una disciplina pedagogica dedicata alla persona, che trova in tecniche e metodologie proprie le risposte necessarie al vasto panorama dei bisogni educativi dell'individuo (minore, adulto, singolo, coppia, gruppo). La pedagogia clinica studia, approfondisce e si impegna a rinnovare metodi educativi finalizzati ad aiutare il singolo individuo e il gruppo a crescere in senso armonico (pedagogia), per raggiungere nuovi equilibri e nuove disponibilità allo scambio con gli altri. Il titolo di acquisisce attraverso un master triennale post universitario.


E' possibile attivare un progetto educativo domiciliare per i Disturbi Specifici dell'Apprendimento?
Pedagogisti ed Educatori Professionali possono operare oltre che nell'ambito scolastico (progetti educativi specialistici) o presso centri e studi, anche a domicilio. Sarà il professionista a valutare le modalità di lavoro, stilando un progetto personalizzato, al fine di intervenire positivamente sulle difficoltà scolastiche o i disturbi specifici dell'apprendimento (DSA) ed eventuali disagi correlati.
Per un approfondimento si rimanda all'articolo "Difficoltà o Disturbi dell'Apprendimento".

Che differenza esiste tra un progetto educativo rivolto a un bambino con DSA e un intervento sul recupero scolastico?
- Chi è chiamato ad intervenire nell'ambito delle difficoltà e dei disturbi specifici dell'apprendimento ha il compito di condurre l'educando verso strategie che lo aiutino a diventare indipendente dall'aiuto dell'adulto (professionista o familiare). Si tratta di interventi specifici volti a far maturare consapevolezza sulle proprie risorse e acquisire un metodo per affrontare le difficoltà.
Ciò non significa che il pedagogista non affronti insieme all'educando le materie scolastiche, ma allo stesso tempo, l'intervento non deve essere concepito come un aiuto finalizzato allo svolgimento dei compiti assegnati dagli insegnanti.
- Invece quelle che comunemente chiamiamo "ripetizioni", finalizzate al recupero dei debiti scolastici o del programma svolto dalla classe ma non appreso, vengono svolte da insegnanti o da persone che hanno il compito di trasmettere nuovamente gli insegnamenti impartiti a scuola e offrire supporto nello svolgimento dei compiti assegnati. 
Per un approfondimento si rimanda all'articolo "Difficoltà o Disturbi dell'Apprendimento".

Chi deve firmare il contratto per il progetto educativo in favore del minore?
E' bene che a firmare il contratto che autorizza il professionista ad intervenire siano entrambi i genitori. Nel caso di separazioni legali o divorzi si dovranno prendere in considerazione le disposizioni a norma di legge.

Nei percorsi di riflessione destinati ai genitori può partecipare anche solo un genitore?
I percorsi pedagogici di accrescimento delle proprie risorse, volte a produrre riflessioni positive circa il proprio ruolo possono essere rivolte anche solo al singolo anche se per un lavoro maggiormente mirato all'educazione dei figli è bene che madri e padri lavorino insieme per garantire coerenza educativa e crescita come coppia educante.

Una nonna o uno zio possono richiedere un intervento educativo per il nipote?
Solo i genitori o chi ne fa le veci (ad esempio tutore, amministratore di sostegno) possono richiedere direttamente un intervento educativo professionale.

Il professionista può avere colloqui con il personale scolastico e gli specialisti di cui si avvale il beneficiario (minorenne o maggiorenne) dell'intervento pedagogico ed educativo?
Solo su autorizzazione scritta è possibile avere contatti con gli operatori che a vario titolo concorrono per il benessere psicofisico del beneficiario del progetto. © ®

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com

venerdì 14 marzo 2014

Obesità mediatica: cibo per la mente e per il corpo

Obesità mediatica: cibo per la mente e per il corpo

Viviamo in un mondo in cui le comodità possono rivelarsi risorse o trappole, se mal utilizzate. Il segreto per ricercare il proprio benessere psicofisico risiede nelle nostre capacità critiche. Nel bene e nel male i mass media rivestono un ruolo di grande rilievo nel panorama educativo dell'essere umano, in quanto occupano una posizione di spicco nell'informazione e nella gestione del tempo libero. Quantità e qualità sono due aspetti centrali anche nel rapporto tra uomo e tecnologia. Sono queste due caratteristiche a determinare l'apporto energetico al fruitore dei mezzi di comunicazione di massa e dei prodotti tecnologici d'intrattenimento. Fagocitando ogni istante della nostra vita, o meglio, nutrendoci compulsivamente di ogni momento che questo tipo di tecnologia ci offre, arrechiamo dei danni a noi stessi sotto vari punti di vista. Pensiamo alla gestione del nostro tempo libero incentrata esclusivamente su una comunicazione unidirezionale che va dalla televisione alla persona. Questo rapporto duale, in cui l'uomo è visto solo come destinatario della comunicazione (mai come mittente), spoglia i momenti liberi da altre opportunità come quelle legate alla socializzazione, alla cura del proprio sé (come unità psicofisica) e alla creatività. La strutturazione del tempo gestita dalla TV non offre occasione per sperimentarsi nell'organizzazione del proprio tempo, dal momento che l'uomo viene sostituito in questo dal palinsesto televisivo. Un'eccessiva voracità che spinge l'individuo ad una “obesità mediatica”, la quale spesso si accompagna al sovrappeso dello spettatore. Programmi e cibi di intrattenimento se non utilizzati con criterio (“la moderazione è la salute dell'anima”) portano le persone ad uno stile di vita che non bada alla qualità. Alcuni accusano TV, videogiochi e computer di essere causa dell'aumento di peso della popolazione occidentale. Questi fattori vengono indicati come la causa di un rapporto non salutare con il proprio corpo e la propria mente che, a discapito di temi e comportamenti culturalmente validi, viene stimolata da notizie e abitudini di scarso spessore. Uno studio dell'Università californiana di Ucla, pubblicato dall'American Journal of Public Health, ha messo in relazione gli spot televisivi che pubblicizzano cibi spazzatura e l'aumento di peso dei bambini, dimostrando che una maggiore esposizione a questo tipo di messaggi porta i telespettatori ad una maggiore assunzione di cibo. La vera causa, a mio avviso, è da indicare nel rapporto tra persona e mass media, il quale, se non accompagnato da un percorso educativo, di natura critica, influisce negativamente sullo stile di vita delle persone. L'aspetto quanti/qualitativo del tempo che dedichiamo a noi stessi dovrebbe ricoprire un ruolo centrale nella scelta del tipo di approvvigionamenti mediatici e alimentari, oltre che nella durata dei tempi da dedicare, ad esempio, alla passività televisiva, al cyberspazio o ai videogiochi, figli minori dell'ozio. Spesso veniamo catturati dalla rete di internet e ospitati per un tempo che non riusciamo a quantificare per via di un “gioco” psicologico che altera la percezione del tempo. Questa sedentarietà, meno passiva rispetto a quella generata dalla televisione, in cui social network, videogames, blog e siti web di vario genere, contribuisce all'aumento della massa grassa del nostro corpo grazie alla staticità imposta (unica eccezione, i videogiochi della Nintendo Wii i quali portano il giocatore a compiere movimenti con braccia e gambe per compiere l’esperienza virtuale) e ad una scelta che va a discapito del mondo reale e di tutto ciò che questo rende possibile. Un circuito composto da TV, internet e console per i videogiochi, unito al cibo, il più delle volte non propriamente salutare, regala ai fruitori momenti di svago con un rovescio della medaglia che è bene conoscere per poterlo evitare. Non sono i mezzi sopra citati a doverci preoccupare, ma l'uso che di essi si fa. E' necessario creare un rapporto pedagogicamente corretto tra utenza e offerta mediatica, affinché, in particolar modo, il minore possa essere realmente accompagnato nella realtà virtuale e in quella di tutti i giorni. Sposare un ruolo attivo nella lettura dei messaggi e un utilizzo ponderato dei mezzi di comunicazione di massa e di intrattenimento elettronico, riconoscendo questi strumenti come l’occasione fondamentale per promuovere un’educazione che consenta di prendere le distanze dalla pigrizia e dalla superficialità con cui spesso si affronta la questione dei mass media. © ®


Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica

domenica 26 gennaio 2014

Disabilità alla nascita

Disabilità alla nascita
La vita non può essere programmata, studiata nei dettagli in modo da soddisfare tempi e richieste. Si sviluppa in base alle nostre azioni, ma anche attraverso aspetti che l'essere umano non può controllare.
Pensare ad un/una figlio/a, proiettandolo/a nel futuro, nel quasi presente, con le nostre – e sottolineo nostre – aspettative, non è corretto, può produrre delusioni, causare frustrazione, ma si sa è un modo naturale di vivere questo lieto evento.
Non è mia intenzione discutere in merito dell'interruzione della gravidanza: desidero solo riflettere su ciò che comporta l'incontro alla nascita con disagi psicofisici a cui quasi mai si è preparati.
Il neonato perfetto, sognato, progettato a livello mentale, trasferito nel grembo materno più con la forza del pensiero carico d'amore che per via biologica, tradisce il sogno dei genitori e appare diverso dal progetto idealizzato. L'immaginazione umana ha i suoi limiti: è infatti da questi confini che bisogna partire per ripensare il desiderio di maternità e paternità.
La notizia che il/la vostro/a bambino/a avrà un'esistenza più difficile rispetto ai bambini che nascono senza difficoltà specifiche, di norma, getta la coppia nello sconforto, talvolta al punto da incrinare il rapporto tra i partner.
Sono fermamente convinto che la decisione di portare o meno a termine una gravidanza si possa annoverare tra le decisioni più difficili che un singolo o una coppia sia chiamata a prendere. A farne maggiormente le spese è la donna che viene da subito investita di un compito grandissimo e complesso. Credo sia sempre indicato che la decisione riguardo la scelta di metter al mondo un/a bambino/a con disabilità venga presa da entrambi i genitori. Non si tratta di una scelta facile. Contrariamente a quanto gli antiabortisiti pensano, chi sceglie di interrompere la gravidanza non lo fa a cuor leggero; così come chi, al contrario, opta per il parto arriva a questa scelta con interrogativi e paure. Da un lato quindi non ci sono mostri e dall'altro non troviamo persone impavide e super preparate alle diverse difficoltà.
Nel mio lavoro ho potuto appurare che chi non conosce direttamente o indirettamente persone con difficoltà psicofisiche ha una visione distorta di giovani e adulti che non fanno parte dei cosiddetti “normali”. Pare dunque che a determinare le reazioni degli altri sia sempre l'ignoranza, intesa semplicemente come non conoscenza. Spontaneamente suggerisco allora di adottare questa filosofia di vita “imparo a conoscerti, quindi ti capisco”, abbandonando così la più utilizzata “non ti conosco, non ti capisco e quindi ti evito”. La conoscenza si pone come condizione necessaria per scegliere con maggiore responsabilità. Ma è incontrando la diversità altrui che possiamo capire il disagio? La mia risposta è un sì parziale, in quanto solo conoscendo noi stessi in relazione alle differenze altrui possiamo capire e soprattutto capirci.
Prima di diventare genitori si dovrebbe raggiungere maturità decisionale, consapevolezza della propria individualità e della coppia. Ho iniziato puntando l'attenzione sull'elaborazione mentale del/la figlio/a proprio perchè le aspettative per non essere disattese devono essere formulate correttamente, ossia tener conto dell'unicità della persona che verrà al mondo e di tutte le variabili che nessuno può prevedere e controllare.
Pertanto ritengo utile, se non fondamentale, confrontarsi con chi ha sperimentato maternità e paternità, nonché con chi ha scelto di interrompere la gravidanza davanti ad una diagnosi di disabilità. Quali sentimenti hanno invaso mente e cuore altrui per cercare somiglianze e differenze, quali e quante sono state le ripercussioni sulla vita del singolo e della coppia, sono alcuni aspetti che potrebbero guidare le persone in un parto prima mentale e poi fisico.
Non esistono regole a cui attenersi quando si decide di metter al mondo un/a bambino/a con disabilità; ci sono però aspetti che è bene conoscere in merito al tipo di patologia e gli aiuti a livello normativo, educativo, medico e assistenziale a cui si può fare capo.
È mia certezza però che tali informazioni debbano essere in possesso di tutti coloro che intendono diventare genitori, dal momento che la disabilità può presentarsi sia prima che dopo la nascita. Da un lato abbiamo patologie di tipo cromosomico che sono individuabili durante il periodo della gravidanza; dall'altro patologie che possono manifestarsi durante le fasi del parto o essere diagnosticabili in un secondo momento. Ecco perchè conoscere ciò che ruota intorno alle emozioni, alle possibilità e alle difficoltà di chi ha un/a figlio/a con disabilità sono necessarie. Chi affronta la gravidanza con la consapevolezza di un neonato che verrà al mondo con determinate difficoltà presenterà uno stato emotivo più accogliente e disteso di chi invece ha vissuto la maternità/paternità senza interrogarsi su un questa eventualità.
La disabilità può colpire e colpirci ad ogni età. Scegliere è possibile sino a un certo punto perchè, come è noto incidenti e patologie invalidanti (a livello fisico, psichico e sensoriale) possono presentarsi durante l'arco di tutta la nostra esistenza. Ci sono cause rintracciabili nel periodo prenatale, perinatale e postnatale. Ecco dunque che l'argomento non può escludere nessuno dalla riflessione sulla genitorialità, disabilità e società.
Interessarsi a questo tema è importante per la crescita individuale e collettiva. Anche chi non dovrà rapportarsi in maniera diretta con questo tipo di difficoltà, avrà però modo di sperimentarsi o far esperire al/alla proprio/a figlio/a la convivenza con minori e adulti in stato di necessità. All'interno della propria famiglia, nel condominio, a scuola, a lavoro, al parco, in piscina, al super mercato: questi e infiniti luoghi offriranno momenti di confronto. Genitori in-formati garantiranno così maggiori possibilità di inclusione, comprensione a tutto tondo dell'altro, lontani da stereotipi e costumi mentali nocivi ed improduttivi.
Dovrebbe far parte della cultura di base la conoscenza dei servizi e delle opportunità garantite dallo Stato italiano a chi vive il disagio psicofisico.
Fortunatamente oggi esistono tanti professionisti che possono offrire supporto a genitori e figli, oltre ad associazioni onlus specifiche per patologia.
Veniamo alla normativa. In Italia abbiamo la Legge n° 104/92 “per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate” (leggi il testo www.handylex.org/stato/l050292.shtml); la legge n° 162/98 (www.handylex.org/stato/l210598.shtml) la quale si traduce in Progetti Educativi e/o Assistenziali (per ulteriori informazioni vedi www.legge162.jimdo.com).
Se un minore o un adulto presenta una percentuale di invalidità (indicata nel verbale dell'accertamento dello stato di disabilità) vicino o pari al 100% è possibile presentare domanda per ottenere un sussidio, vale a dire l'accompagnamento (nel verbale risulterà la dicitura “100% di inabilità lavorativa con necessità di assistenza continua, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita”). Per i minori che beneficiano dell'accompagnamento non è però possibile usufruire dell'indennità di frequenza (in questo caso nel verbale troverete la dicitura “Minore con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni della propria età”). Siamo nell'ambito dell'invalidità civile. Per un approfondimento si consiglia la letture delle FAQ su www.dirittierisposte.it/Schede/Persone/Salute/invalidita_civile_id1128399_art.aspx.
Dalla burocrazia poi si passerà al percorso educativo e al sostegno ai genitori per garantire una crescita armoniosa che sfrutti al massimo il potenziale del singolo e della famiglia.
Per conoscere le finalità dei Progetti Educativi ai sensi della L.162/98 vedi www.legge162.jimdo.com/progetti-educativi (su Facebook www.facebook.com/Legge162). © ®


Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica