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Dott. Marco Mura - Pedagogista, Educatore Professionale, Specialista in Pedagogia Clinica --- (Attività Professionali) - Percorsi educativi per minori con: difficoltà d'apprendimento (DSA); disagio sociale e/o relazionale; disabilità (progetti L.162/98; LR 20/97). - Creazione e conduzione di progetti educativi per adulti (L.162/98; LR 20/97) - Consulenza Pedagogica Sostegno alla Genitorialità, Parent Training - Consulenza educativa rivolta a professionisti del settore educativo Per informazioni: dott.marcomura@gmail.com

venerdì 7 giugno 2013

L'adolescente: era mio figlio

L'adolescente: era mio figlio
Guardare un figlio o una figlia e scoprire che l'adolescenza è arrivata durante la notte, senza preavviso, così, di soppiatto.
Scoprirsi adolescente, con un corpo che testimonia il (grande) passo successivo all'infanzia, una proiezione approssimativa della vita adulta, destabilizzante, scomoda, desiderata da un lato e dall'altro con aspettative tradite.
Sino a ieri era il/la vostro/a bambino/a, oggi non è più chi conoscevate e tutto questo nel giro di una notte! Spesso ho sentito genitori che al primo incontro, fissato per affrontare la nuova sfida educativa, parlavano di questa rapidissima ed inaspettata metamorfosi che mutava il/la bambino/a in un/a adolescente con caratteristiche non rintracciabili nella sua storia familiare recente.
La realtà è che l'adolescenza arriva inesorabilmente e che da tempo non costituisce una novità, tanto meno una rarità. Una fase difficile per chi la vive direttamente e indirettamente, in cui la difficoltà per il giovane consiste nell'adattamento richiesto ai cambiamenti somatici, psichici e socioculturali, per il genitore nel trovare nuovi strumenti per orientarsi nelle modalità relazionali ed educative. Non è una malattia, anche se forse qualcuno vorrebbe lo fosse per poter giustificare determinati atteggiamenti e magari fare ricorso a qualche farmaco visto che oggi tante manifestazioni comportamentali rischiando di essere affrontate farmacologicamente. Si tratta di un passaggio molto importante per la vita del singolo e della famiglia. La pedagogia in questo può fare tanto sostenendo la costellazione familiare e non intervendo in sostituzione dei soggetti coinvolti o escludendone alcuni, ritenendo che l'azione debba svolgersi dall'alto e non in un'ottica orizzontale. Pensare all'adolescenza deve coincidere con un lavoro educativo sulla famiglia. Più avanza questa parentesi biografico-esperienziale e maggiori diventano le preoccupazioni di madri e padri.
Dai mass media arrivano spesso sconvolgenti scenari che ritraggono l'adolescente come un individuo caratterizzato dalla pura trasgressione. Con un passo indietro però è possibile pensare alla propria adolescenza, non per paragonarsi a quella dei/lle propri/e figli/e, ma per ricordare quale fosse la definizione e descrizione data della propria generazione e quali sensazioni suscitasse ogni forma di etichettamento, generalizzazione e soprattutto incomprensione.
L'adolescenza è differente per soggettività, per famiglia di appartenenza e soprattutto per il tipo di società che accoglie questa fase della crescita. L'attuale sistema socioculturale ha fornito come culla il consumismo e l'immediato soddisfacimento. Il “tutto e subito” funziona come tecnica commerciale che, attraverso il sistema rateale, consente di entrare in possesso di un oggetto pur non avendo ancora terminato o persino iniziato il pagamento. Nell'ambito delle vendite il percorso che conduce all'acquisizione di un bene è stato rovesciato, ma nell'ambito pedagogico questo iter a ritroso non deve assolutamente trovare collocazione. Questo meccanismo è assolutamente valido anche per quanto concerne la libertà. È giusto, anzi doveroso, avere la possibilità di guadagnare la fiducia, bene prezioso per chi la dona e per chi la ottiene, ma sempre in un sistema di reciprocità che deve alimentarsi costantemente.
Ma questo/a figlio/a si è veramente trasformato in sole ventiquattro ore? Ovviamente no. Non possiamo ignorare il trascorrere del tempo e i piccoli segnali che dovrebbero guidarci alla consapevolezza della progressiva crescita dei figli.
Il genitore inizia a non essere richiesto come un tempo, è meno credibile, al contrario degli amici, le richieste sono accolte con qualche resistenza in più, il divieto, che prima veniva subito osservato, ora inizia ad essere messo in discussione, insieme a tanti altri cambiamenti che poi, in piena adolescenza, daranno vita a discussioni più accese.
Diffidate dai vademecum pedogogici e psicologici che offrono protocolli applicativi per rispondere alle esigenze che a livello statistico si presentano nell'adolescete tipo. Ascoltate, osservate, dialogate e non abbiate paura di essere genitori poco competenti se scegliete di parlare con un pedagogista di dubbi e perplessità derivanti dai nuovi cambiamenti. Coltivate quotidianamente il rapporto con i vostri figli e non scopritevi genitori con l'insorgere dell'adolescenza, incarnado il ruolo dell'autorità competente. L'adolescente ha memoria: ricorda chi siete stati prima e chi siete ora; ha una visione molto critica dell'operato di tutti gli adulti e, allo stesso tempo, è ipercritico verso di sé, perchè talvolta non sa se si piaccia oppure no. I punti fermi, infatti, non devono mai mancare. Non solo: serve anche un luogo sicuro in cui poter tornare. La famiglia deve rappresentare un porto in cui fare ritorno, in particolar modo quando il mare è agitato e burrascoso. La sicurezza deve albergare anche nei confronti, per quanto accesi siano. Meglio incontri simili a quelli del pugilato, che scontri dove manca del tutto la lealtà. Era ed è vostro/a figlio/a e non si è perso/a; semplicemente sta crescendo e come spesso accade i cambiamenti chiedono di attingere dal proprio spirito di adattamento. Servono energie, tempo, disponibilità ad ascoltare e sperimentare, libertà di espressione del proprio sé, opinioni e confronti e mai dovranno mancare i limiti. I paletti che segnano i confini però devono essere sempre costruiti con materiali elastici in modo che su di essi possa essere esercitata e sfogata la forza adolescenziale che mira all'indipendenza e alle spinte verso l'adultità.
L'adolescenza non è brutta come la si dipinge e per gli adolescenti anche i genitori, in fondo, non sono poi così male. © ®

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
 

domenica 2 giugno 2013

Percorsi di riflessione per crescere come genitori
Oggi, più che in passato, la pedagogia e tutti coloro che si occupano di educazione a livello professionale e familiare, sono chiamati ad un rapporto più attento con gli elementi che entrano in gioco nella crescita della persona. In particolar modo stiamo assistendo a rapide trasformazioni nell'ambito familiare: una sfida a cui occorre rispondere con puntualità. La famiglia rappresenta un microcosmo che non può risolversi nelle dinamiche interne ad essa, dal momento che la società la contiene e che il nostro campo d'azione non si limita a ciò che possiamo trovare al di fuori della porta di casa, nella scuola, ma implica un mondo di idee ed insegnamenti che viaggia anche attraverso gruppi informali e mass media, come televisione e internet. Non si tratta di restare in attesa di meri insegnamenti o di consigli che suonano come dogmi, ma di percorre una strada che conduca alla scoperta e alla riscoperta delle proprie risorse, in modo tale da ricoprire con consapevolezza il ruolo di genitore. Rompere la solitudine interna alla famiglia e alle famiglie, creando condivisione di esperienze e saperi in un luogo sicuro, lontano dal giudizio, governato dalla comunicazione democratica, riconoscendo pari valore e diritti a tutti.
Il termine consulenza non rende l'idea del modo con cui viene affrontato il lavoro insieme ai genitori e alla costellazione familiare, in quanto dal punto di vista pedagogico e pedagagogico clinico ridurre un incontro con l'altro in termini di elargizione di consigli avrebbe da un lato la presunzione di rapprensentare la ragione e l'infallibilità del professionista a discapito della fallibilità del genitore e, dall'altro, spoglierebbe madri e padri delle proprie risorse personali messe in campo sia per la propria crescita che per quella della coppia e della famglia. I percorsi di potenziamento e crescita delle competenze genitoriali, sono in primo luogo dedicati alla conoscenza di se stessi come genitore slegato dal/dalla partner e come coppia affettiva e educativa. Prendendosi cura di se stessi, imparando ad osservarsi e a mettersi in gioco, i genitori possono riscoprirsi adulti con grande curiosità nei riguardi del mondo. Tutto è in evoluzione: lo è il singolo, la coppia, la famiglia e la società. In base a questo assunto diventa improduttiva la staticità e la rigidità che spesso accompagna gli stili educativi interni alla famiglia. Retaggi antichi, schemi riproposti attraverso esperienze passate (“con l'altro figlio ho sempre fatto così”), eredità educative impiegate come soluzione automatica non ponderata e tante altre modalità di relazione educativa.
Il pedagogista accompagna, sostiene, offre uno sguardo differente e facilita il genitore nelle sue riflessioni e azioni grazie al riconoscimento del suo potenziale e delle spinte verso un continuo rinnovamento delle proprie capacità. Sono contrario a tutte quelle strade che conducono esclusivamente ad un semplice insegnamento di tecniche da applicare, che attualmente prendono il nome di tutoring educativo, parent training, coaching – vale a dire la classica consulenza educativa - che mettono in rilievo le competenze metodologiche del professionista e non offrono uno spazio di confronto, crescita e valorizzazione per madri e padri. Consulenze educative sì, ma non slegate dai percorsi pedagogici che guardano l'altro come soggetto capace, portatore di valori e abilità. Un lavoro in sinergia con la diade genitoriale o con il singolo genitore, per arrichire il bagaglio educativo e fortificare la persona. Diventare una figura educativa surrogata che imita un professionista, a mio avviso, non paga. Conoscere e comprendere il singificato di alcuni approcci educativi è utile, ma senza un adeguato percorso personalizzato per il genitore ci troveremo davanti ad un soggetto con compenteze professionali molto approssimative, privato di tante opportunità di cambiamento costruttivo nella relazione affettiva e educativa con i propri figli. I compiti a casa sanno tanto di ammaestramento e pertanto non offrono garanzia di esito positivo. Si impara ad essere genitori non attraverso un corso ma con la conoscenza di noi stessi, del Noi della famiglia.
Presupposto fondamentale dei percorsi pedagogici rivolti ai genitori e alla costellazione familiare risiede nella disponibilità a mettersi in discussione, senza la ricerca di colpevoli o la santificazione del proprio operato. Solo abbandonando ogni forma di resistenza e convinzione di infallibilità è possibile diventare osservatori obiettivi del passato e del presente, garantendo di conseguenza maggiori opportunità di crescita al futuro dei propri figli, della propria famiglia.© ® 

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com

Il pedagogista. Una professione in favore delle persone


Il pedagogista. Una professione in favore delle persone
L'etimologia del termine “pedagogia” richiama l'accompagnamento (guidare, condurre) del bambino nel suo percorso di crescita. Il pedagogista è un esperto dei processi educativi e formativi incentrati sulla persona di ogni età, che prescinde dalla presenza o meno di uno stato di disagio (fisico, psichico, sensoriale o sociale). Questa disciplina è chiamata a rispondere ai vari quesiti che la vita pone davanti all'essere umano, aiutando la persona a trovare in sé le risorse per meglio reagire alle sfide quotidiane, mediante una guida nelle riflessioni necessarie al superamento degli ostacoli che frenano il raggiungimento del proprio benessere.
L'azione pedagogica risponde ad una forma che rispetta la natura umana e l'unicità del soggetto; pertanto è portata a rinnegare tutte quelle metodologie legate all'ammaestramento e alla cecità ostinata che riconosce nell'altro esclusivamente aspetti negativi, richiamo costante di una certificazione medica del deficit o di mere etichette sociali.
La pedagogia abbraccia la formazione della persona lungo tutto il corso della sua esistenza, occupandosi delle tematiche che interessano l'educazione permanente, vale a dire di quel processo che vede nella vita l'occasione costante per poter cambiare positivamente.
La crescita, il cambiamento positivo, inizia e non termina in una tappa determinata, la quale di norma viene indicata nell'adultità, con il raggiungimento di una maturità sterile che nega il continuum del processo educativo. Sono gli eventi destinali, nascita e morte, a determinare l'inizio e la fine del processo di cambiamento. Ora si parla di educazione permanente proprio perché si è compreso l'alto valore della scoperta e della riscoperta di sé, grazie all'individuazione delle proprie risorse e alla funzione positiva della creatività che consente di arricchire ogni istante della nostra esistenza. Cresco, perché esisto. Il processo di cambiamento – inteso come crescita, atto educativo - è la conferma di quella sana curiosità che ci porta a muoverci lungo l'asse positivo della vita, diventando persone migliori, mantenendo l'interesse per il presente e il futuro.
La pedagogia, figlia della filosofia, ha operato quel processo di maturazione che vuole veder crescere la prole e diventare indipendente pur riconoscendo i meriti genitoriali. Questo passo portò la pedagogia a staccarsi dalla filosofia e divenire una scienza sociale di natura empirica.
Questa disciplina, come sapere e pratica che dà forma, mediante il “portare fuori”, “l'arte del far emergere” (e-ducere – l'azione educativa), mette al centro l'essere umano come artefice dei propri cambiamenti, attraverso percorsi di riflessione. Il pedagogista riflette e teorizza sulle tematiche dell'educazione e quindi della formazione: una forma in linea con la natura umana, lontana da pervertimenti della crescita e da visioni medicalizzate che portano ad identificare l'uomo come un paziente o con la patologia o il disagio che vive. L'obiettivo di accompagnare la persona nel sul percorso formativo, senza imporre cambiamenti, in modo da consentire una vita indipendente mediante la maturazione e l'esercizio delle proprie capacità.
Alla base dell'agire educativo troviamo la comunicazione, intesa non solo come quell'atto di rendere noto un messaggio, ma anche di metter insieme e condividere informazioni e comportamenti positivi, attraverso atteggiamenti empatici, volti a comprendere gli stati d'animo altrui.
I pedagogisti non promuovono azioni esclusivamente in favore di chi vive situazioni di disagio, ma si rivolgono a tutte le persone, dal momento che l'educazione si configura come la linfa che alimenta costantemente la crescita di ogni individuo.
La formazione umana, sotto quest'ottica, viene vista come quell'azione che dà forma (forma-azione); un agire che promuove cambiamenti partendo da motivazioni intrinseche alla persona per il raggiungimento di obiettivi specifici e universali come il benessere psicofisico.
All'interno dell'ambito pedagogico viene riconosciuto e tutelato il principio di diversità, visto che ognuno deve poter vivere in libertà, senza omologazioni e potersi così esprimere. La persona è unica ed irripetibile, diversa dagli altri e pertanto portatrice di preziosa ricchezza per chi la incontra.
La scienza pedagogica si rivolge a tutti gli aspetti che caratterizzano la vita nello senso più ampio del termine. Tutti gli ambiti che riguardano la società vanno a costituire i temi di riflessione e della ricerca pedagogica. Pensiamo ai mass media, all'istruzione, alle scelte educative genitoriali, alla devianza minorile, al diagio psico-fisico, all'adattamento ai cambiamenti imposti dall'invecchiamento, all'educazione sessuale e a tutti quegli aspetti che concorrono alla formazione umana: un'infinità di argomenti che, come si può vedere, incidono sul percorso di vita individuale e collettivo.
Una disciplina che, attraverso il suo sapere in constante evoluzione, si erge come guida per una vita nel rispetto del singolo e del gruppo.© ®

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
e-mail: dott.marcomura@gmail.com

mercoledì 24 aprile 2013

La Pedagogia dei simili

La Pedagogia dei simili
Nasciamo diversi e lo diventiamo ancora di più se la nostra vita è vissuta nel rispetto della libera espressione del nostro sé. 
Nell'ambito accademico si parla di Pedagogia Speciale: ma dove risiede questa qualità? 
Il termine “speciale” trova collocazione nelle difficoltà certificate, nella diversità spesso scambiata per inferiorità, scarso valore, non-persona.Olimpiadi speciali, pedagogia speciale, un/a ragazzo/a speciale...
Le parole sono fondamentali per la rappresentazione del mondo esteriore ed interiore. Più che batterci per l'abolizione di vocaboli sgraditi all'orecchio e al cuore – senza sottovalutare l'oltraggio intellettuale e culturale che alcuni lemmi portano con sé – si dovrebbe pensare alla rapprensetazione mentale che ne consegue mediante l'uso di determinate parole/concetto.
Partendo dal presupposto che non siamo nati grazie a tecnologie industriali che ci rendono identici al nostro prossimo e che ognuno di noi possiede svariate singolarità, non ci resta che ammettere che la diversità è una condizione congenita dell'essere umano. Meglio concentrarsi sui comuni denomintaori e così parlare di una Pedagogia dei Simili, tenendo sempre presente che in ogni percorso di conoscenza emergono elementi che guidano diversamente gli interventi educativi, per obiettivi, tempi, approcci e modalità.
Non scrivo questo per nascondermi dietro a un dito, in quanto come professionista conosco bene la differenza tra il vivere una vita camminando in pianura e una strada caratterizzata da grandi salite e sbarramenti. 
“Specialità” fa copia con la salute fisica, psichica e sensoriale.
Lasciatemi dire che la Pedagogia è di tutti e per tutti. La specialità di cui è stata dotata non le conferisce un valore aggiunto. Mi sembra scontato che in situazioni dove le richieste di guida sono maggiori e il potenziale di partenza di accesso più complesso si lavori sulla ricerca di nuove strategie e più evoluti percorsi di intervento. Ma non è forse un pensare/fare comune a tutti i progetti educativi?
Chi non padroneggia ancora la lingua del Paese in cui vive ovviamente vivrà con maggiori difficoltà le richieste fatte in ambito didattico; chi presenta difficoltà fisiche, come un'emiparesi, dovrà trovare tecniche alternative per raggiungere un determinato obiettivo. Solo nel secondo esempio si parla di specialità e diversabilità.
La specialità o se preferite la diversità consiste nel differente modo di interpretare la vita e conquistare le mete che garantiscono l'obiettivo comune a tutto il genere umano: il benessere psicofisico.
Nei progetti educativi ho sempre trovato validi concetti e approcci che sulla carta di norma vengono destinati a “categorie speciali”. Ad esempio nei bambini o adolescenti con disagio scolastico legato a scarso interesse, disturbi della condotta (non in senso stretto) ho impiegato spesso approcci che fanno capo ai disturbi specifici dell'apprendimento (DSA); nei percorsi educativi in favore di preadolescenti strategie e obiettivi inseguiti nell'ambito della disabilità per la gestione e la cura dello spazio di vita.
Consentitemi poi di riflettere su pubblicazioni che trattano i progetti educativi e riabilitativi delle persone con una particolare condizione psicofisica. Per quanto ogni patologia abbia delle peculiarità, per base genetica - o altro - e relative possibili ripercussioni sul quotidiano, non pensate anche Voi che gli obiettivi siano comuni a tutte le altre persone che intraprendono un percorso di crescita e di vita indipendente?
È vero che in specifici quadri clinici ci sono tecniche più efficaci di altre, ma sempre a seconda della persona con cui (e non su cui) si lavora. Ma è altrettanto vero che modalità di intervento studiate ad hoc per una particolare condizione psicofisica si rivelano valide per tante persone e quindi siano generalizzabili e non così speciali.
Dario Ianes in un suo testo parla di Speciale Normalità, una sorta di “sintesi tra normalità e specialità”. Ianes mostra come nella costruzione di un percorso di crescita i Bisogni Educativi Speciali (BES) incontrino entrambe le nature: normalità e specialità. (Normalità, un'altra parola/concetto di difficle definizione e dubbio valore). Egli parla della normalità del bisogno (obiettivo di crescita ampio) e della specialità nell'accezione di una condizione psicofisica o culturale che amplifica la richiesta di aiuto. Una commistione di termini per mostrare che in un iter educativo e/o didattico l'obiettivo comune e l'approccio possono trovare richieste che necessitano di maggiore riflessione, programmazione ed accuratezza nell'intervento. Una singolarità che nei gruppi può far capo a qualsiasi situazione di difficoltà, permanente o transitoria, individuale e non.
Qualcuno potrebbe dire che è sempre più difficile attenersi al politicamente corretto: invece io sostengo che è sempre più complesso e complicato far capire alle persone che di esseri umani il mondo è pieno e che sono tutti speciali, perchè unici ed irripetibili. © ®

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
Specialista in Pedagogia Clinica
 

giovedì 28 febbraio 2013

A scuola di diversità


A scuola di diversità
  • “Mi sembri diverso dagli altri...”
  • “Perchè, come sono?”
  • “Non so... diverso, diverso e basta”
  • “... A questo punto non saprei neanch'io cosa dire in merito”

Un dialogo possibile tra la Norma e la Diversità, uno dei tanti a cui si potrebbe aggiungere quello tra genitore e figlio:
  • Perchè non sei come tuo fratello?”
  • Non lo so!”
  • Perchè non sei come gli altri?”
  • Non lo so!”
L'unicità delle persone, delle proprie situazioni, in definitiva della personale biografia rientra tra quei concetti difficili da comprendere e allora, per timore di trovarsi davanti ad una novità, ad un soggetto differente dagli altri, si corre ai ripari cercando di condurre la persona ad interrograrsi su questa distanza tra il proprio essere-nel-mondo e la natura - indefinita perchè la normalità non ha una vera e propria definizione - che richiama gli altri, la loro natura appunto normale.
Normale, termine che dice poco e niente sul proprio benessere, sulla giusitizia, sull'intima realtà umana. Nonostante la nebulosità insita nel termine, il richiamo alla dimensione del normale è costante. Sarebbe bene abbandonare questo vocabolo e imparare a riferirci all'individuo in termini di singolarità, peculiarità, qualità, difetti, modalità di relazione con il proprio sé, gli altri, il mondo e così via discorrendo. Se per essere considerati normali il prezzo da pagare è quello di conformarsi alla massa, allora è meglio continuare a fare parte delle rarità o, ancora meglio, delle unicità.
Diversità spesso fa rima con inferiorità, non perchè vi sia un nesso logico, una conseguenza obbligata ma perchè la società spesso si muove senza maturità e consapevolezza. Da un luogo comune, così, si costruisce una teoria che viene spacciata per scientifica. “Chi non presenta caratteristiche uguali o simili al resto del gruppo è da considerarsi diverso, in altri termini inferiore”. È quanto accade, ad esempio, all'interno dei gruppi dei pari (in altri termini dei coetanei) ed è da simili considerazioni prive di senso compiuto che si originano fenomeni come quello del bullismo.
Diverso” fa rima anche con la sessualità e la troppo estesa omofobia. L'altra assonanza invece la ritroviamo nell'ambito della disabilità. Sprechiamo tempo e parole ad inseguire la terminologia corretta per riferirci ad una persona che presenta un quadro medico che ha limitato la funzionalità di qualche parte del corpo, dimenticandoci che tutti abbiamo un nome e un cognome e che quando si parla di situazioni individuali è a quei nomi che dobbiamo riferirci. Sui manuali l'approccio è sterile, ma non per questo deve essere privo di sensibilità. In merito a questo infatti la scrittura si è evoluta. Rimane però da limare la comunicazione diretta, il rapporto con l'altro.
Ricordate le classi differenziali della scuola italiana? I diversi, ossia chi non rientrava in certi standard, venivano inseriti in una classe apposita. Alcuni anni fa (non troppi) un politico della Lega Nord, Pietro Fontanini, chiese di introdurre nuovamente le aule destinate a chi – questa era la giustificazione del leghista – rendeva difficile lo svolgimento delle lezioni, a causa di uno stato di disabilità certificata. Siamo in un presente che davanti agli anni trascorsi, tra questa soluzione e un'altra triste realtà come quella dei manicomi, dovrebbe collocarsi sotto la voce “futuro”, inteso come progresso, ma, come possiamo appurare, gli stigmi, l'ignoranza e la chiusura verso l'essere umano ci riportano ad un terrificante passato. Anche se solo un individuo esce dal coro degli illuminati dobbiamo preoccuparci. Sempre.
Come professionista cerco sempre di creare cultura pedagogica, riflessioni sul mondo e spiego il senso del mio lavoro, in quanto chi si rivolge alla mia professione non è da considerarsi persona inferiore. Una relazione d'aiuto è sempre e comunque un'occasione di crescita e lo è per tutti.
Abbiamo bisogno di concepire il mondo come vario: senza questo presuspposto la nostra vita non sarebbe bella.
Andiamo tutti a scuola di diversità, imparando a conoscere tutte le realtà (personali, culturali) come differenti e non inferiori, perchè è nella diversità che si cela la ricchezza. Diamo l'opportunità all'incontro con l'altro di regalarci la propria individualità e ricambiamo con la stessa generosità affinchè non ci sia alcun timore nel dichiarare al mondo chi siamo veramente. Essere se stessi sempre e comunque, nel rispetto della propria ed altrui persona: ecco la terapia per un mondo senza pregiudizi.© ®

Dott. Marco Mura
Pedagogista, Educatore Professionale
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www.crescereeducati.blogspot.com
http://pedagogiaoggi.jimdo.com

 

domenica 24 febbraio 2013

Pedagogia Oggi




Pedagogia Oggi,
come appuntamento quotidiano con se stessi,
con la crescita individuale, della famiglia e della società

Al miglior (s)offerente. Quando il benessere viene messo all'asta

Al miglior (s)offerente. Quando il benessere viene messo all'asta © ®
E se il benessere fosse messo all'asta? Chi può credere veramente che sia possibile valutare positivamente una società che non offre a tutti le stesse condizioni per poter raggiungere gli stessi obiettivi? Le persone che non hanno mezzi economici sufficienti non possono che affidarsi esclusivamente ai finanziamenti pubblici per alleviare le sofferenze e possibilmente essere affiancati in un percorso che li conduca a stare meglio facendo, magari, capo alle proprie capacità. Che si tratti di un aiuto di tipo medico, assistenziale, educativo o psicologico ora poco importa, ma con la carenza di fondi economici congrui alle situazioni individuali il povero continua a pagare doppiamente le proprie difficoltà e così il disagio cresce allargandosi a dismisura.
Una politica che non concentra la propria attenzione verso le forme di disagio non ha a cuore la nostra Costituzione. Se per star meglio è necessario trovarsi in un forte stato di difficoltà allora non dobbiamo che attendere il peggioramento della situazione o, nella migliore delle ipotesi, il cristallizzarsi dello status quo personale e/o familiare, che con l'avanzare del tempo può condurre a maggiori sofferenze. Allora premiamo solo chi presenta una maggiore difficoltà quotidiana e speriamo che chi non sta poi così tanto male non peggiori per non gravare ulteriorimente sullo Stato. La ricchezza non dà salute, ma chi dispone di maggiori guadagni può compensare le mancanze di una politica che finanzia esiguamente il motore del benessere. Il diritto alla salute è per tutti e prescinde dalle codizioni economiche. Non è intelligente pensare solo in termini di difficoltà riscontrate e sulla base di finanziamenti che negli anni diminuiscono sempre più. Promuovere l'assistenzialismo equivale a svalorizzare la persona e renderla sempre meno indipendente. Se a comandare sarà sempre il denaro e il desiderio di risparmiare sul benessere altrui, la società dovrà poi fare i conti con il proprio fallimento.
Un appuntamento mancato con la crescita del singolo, della famiglia, della società. 
E dire che stiamo parlando dell'acqua calda! Dal sapere al volere - fortemente - che determinate situazioni siano prevenute, per passare poi al prendersi cura con professionalità di ogni persona. Nell'altro non si deve vedere un portatore di problemi, una fonte di guadagno economico o un possibile elettore: gli altri costituiscono le fondamenta della società. Vacillare per poi crollare è una scelta, non una conseguenza di una realtà non compresa o mai scoperta. 
Cari Governi, Vi trovate al potere per servire il Popolo, senza esclusioni.
Credete forse che chi soffre sia da considerare semplicemente il più debole o debba invece essere a buon diritto ritenuto un essere umano che come gli altri deve essere costantemente tutelato e valorizzato?
Per stare bene, prendete posto e, mano al portafogli, fate la vostra offerta. In base a quanto lo Stato vuole investire su ognuno di voi e facendo capo alle vostre disponibilità economiche raggiungerete forse il tanto desiderato benessere; in caso contrario ricordatevi che i soldi, qualsiasi sia la loro provenienza, non danno la felicità e neanche la salute.© ®
Dott. Marco Mura
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